Sulla Stampa esce nei giorni scorsi un articolo in cui vengono equiparati Michela Murgia, recentemente scomparsa e Pierpaolo Pasolini. Con ciò la scrittrice sarda viene collocata nell’empireo dei grandi della letteratura, e proprio perché Michela Murgia considerata dall’ordine del discorso gimperante come un gigante della letteratura, affrontarne criticamente l’eredità e la prospettiva è lecito e doveroso, auspicando naturalmente che le considerazioni critiche vengano accolte come tali e non come semplice esternazione di odio e livore.
Per un verso Michela Murgia viene oggi, dal coro virtuoso degli intellettuali, innalzata gigante della letteratura universale e per un altro verso non sono ammesse riflessioni critiche intorno al suo pensiero e alla sua produzione, come invece sarebbe lecito fare se si trattasse di un gigante della letteratura. Le riflessioni critiche intorno a Michela Murgia vengono subito ostracizzate come manifestazione di odio e di invidia. Sicché pare che di Michela Murgia sia lecito ora parlare solo in termini elogiativi, eppure se, come ci dicono Michela Murgia era maestra della critica e del pensare contro e aveva anzi identificato nella negazione del pensiero critico uno dei tratti del fascismo, credo di non fare cosa sgradita alla sua memoria svolgendo ora alcune considerazioni critiche intorno alla sua produzione intellettuale. Sia chiaro, a giusta distanza dalla beatificazione acritica e dall’odio squallido.
Ebbene voglio brevemente provare a seguire fino in fondo il paragone tra la Murgia e Pasolini istituito dalla stampa. Ammesso e non concesso che siano dello stesso livello intellettuale, di un punto teorico pratico che a punto giudizio divide sideralmente i due scrittori. Il discorso di Pasolini era di rottura totale con la civiltà dei consumi e con il potere capitalistico, quello di Michela Murgia no. Dopo il pregevole esordio del precariato e dello sfruttamento lavorativo, il discorso intellettuale della Murgia si è concentrato quasi univocamente sulle battaglie arcobaleno e sull’antifascismo. i suoi libri pubblicati nell’ultimo decennio ne offrono una inconfutabile testimonianza, ma antifascismo in assenza di fascismo e battaglie arcobaleno risultano oggi due funzioni espressive della critica conservatrice, la quale finisce per rinsaldare il dominio capitalistico sul mondo della vita. Il capitalismo usa le battaglie dell’arcobaleno per defocalizzare rispetto ai temi del lavoro e del sociale e in maniera convergente per favorire l’individualizzazione liberal-progressista della società. E poi usa l’antifascismo in assenza di fascismo, da distinguere con cura dal sacrosanto antifascismo in presenza di fascismo che fu di Gramsci e di Gobbetti, per dirottare le energie della critica dall’anticapitalismo. Di più, l’antifascismo in assenza di fascismo coltivato tra gli altri da Michela Murgia finisce per generare l’illusione che la società capitalistica sia la democrazia compiuta che dobbiamo difendere dalle incursioni dell’eterno fascismo identificato con tutto ciò che variamente possa criticare e rovesciare la società capitalistica in quanto tale.
Perché Michela Murgia, che molto bene esordì con la sua critica del precariato e dello sfruttamento capitalistico, abbandonò quella sfera per consegnarsi alla critica conservativa? Nella società reificata il successo e la visibilità dipendono dal grado di integrazione del proprio messaggio rispetto ai codici della cultura dominante e dunque del potere egemonico. Godono di successo, di visibilità e di celebrazione i messaggi che quanto più paiono critici e dissidenti tanto più riconfermano i moduli della società reificata. L’esordio della Murgia, certo brillante ma altresì poco spendibile nella civiltà dello spettacolo, non le avrebbe indubbiamente garantito il successo che poi le è stato riconosciuto grazie al su passaggio in stanze meglio spendibili nella società alienata, tra le quali spiccano l’antifascismo in assenza di fascismo e le battaglie dell’arcobaleno. Riconosco volentieri a Michela Murgia l’onestà e il coraggio di combattere per le proprie idee di combattere fino alla fine. Mi riservo però il diritto di sostenere che quelle idee erano sbagliate ed espressione diretta della società alienata del capitale, che idealmente pensavano di criticare.
Radioattività – lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro
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