Questa visione delle ESG (Environmental, social, and corporate governance) in cui i portatori di interesse sono messi sullo stesso piano delle imprese ha un senso per le grandi, grandissime imprese dove ci sono strutture che possono permettersi i costi dell’organizzazione di comitati, gruppi di lavoro, gruppi di ascolto, eccetera.
Chi vi sta parlando ha già fatto pianificazione strategica anche di enti pubblici e quindi sa cosa vuol dire quando ci sono riunioni con 60-65 persone che parlano in rappresentanza di altrettanti enti, camera di commercio, università, comuni, province, ospedali.
Ma un’impresa come dovrebbe fare? Ma dove cavolo sono quelli che scrivono queste norme?
Pensiamo ad un’impresa di otto dipendenti: cosa fa? Un comitato di otto persone? E chi lavora?
Qui manca completamente il lume della ragione.
Non c’è una distribuzione paritetica dei costi. Di un ambiente e di una società migliore beneficiano giustamente tutti.
Ma i costi dell’investimento sarebbero sostenuti ingiustamente soltanto dagli imprenditori.
In questa visione l’abdicazione de facto del ruolo politico pare evidente.
Nel fatto che esso diviene, il politico, soltanto il regolatore, colui che definisce le regole, intese come un complesso sistema di obblighi e sanzioni.
Quello che vi sto dicendo è che in questa impostazione dell’economia, con queste norme europee chiamate ESG, di fatto si scarica il barile sulle spalle delle imprese. Perché di società e ambiente si dovrebbe occupare il mondo pubblico, cari signori: questa è la verità.
E’ saltata l’alleanza tra mondo delle imprese e mondo delle pubbliche amministrazioni della politica, perché i politici ormai non si occupano più di imprese, di industria, di posti di lavoro, ma si occupano soltanto di questioni teoriche, come parità di diritti e simili.
La produzione del valore non è più un interesse del mondo politico. Ma non da oggi: è da decine di anni.
Di fatto le questioni di cui si dovrebbe occupare la politica, la società, l’ambiente, eccetera, le si vorrebbe scaricare sulle imprese.
Ma il pensiero assurdo, anzi terribile che vediamo, è che si pensa che un centinaio di grandi imprese, le multinazionali, tutte quelle che voi conoscete, le più famose, dovrebbero disegnare tra di loro il tipo di società che vogliono e il tipo di ambiente che vogliono.
Bene, mi rifiuto di vivere in un posto dove è la Coca-Cola piuttosto che la Apple a decidere il tipo di società nella quale devo vivere io e il tipo di ambiente nel quale devo vivere io.
Malvezzi Quotidiani – L’Economia umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi