Se ne parlava già da più fronti: “Sarà necessario entrare a Gaza”. Lo hanno detto sia il premier israeliano Netanyahu che l’ambasciatore d’Israele in Italia ai nostri microfoni, e questo sta accadendo. Reazione che risponde a un’azione, legge del taglione che fa parte di un contesto bellico, dunque non giudicabile coi normali crismi dell’etica. Anche in guerra però esiste un’etica, ecco perché le parole del ministro degli esteri israeliano dopo l’orrendo attacco di Hamas hanno impressionato il mondo: “Niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza“.
Il tutto senza contare il massacro di civili a cui assisteremo nelle prossime ore, perché finora la reazione dello Stato israeliano al suo 11 settembre è stata relativamente dura (occhio agli avverbi), ma presto non sarà più così.
Proprio il tema della protezione dei civili è la principale preoccupazione su cui si sta muovendo Amnesty International nelle ultime ore: “I civili sono intrappolati e non hanno alcun posto per mettersi al sicuro. Il massacro di civili a Gaza non porterà né giustizia né sicurezza. Israele lo riconosca“, scrivono sulle loro piattaforme.
“C’è l’intenzione di portare a termine una politica di blocco completo di ogni fornitura essenziale per la vita umana“, riferisce il Portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury, “significherebbe rischiare di far patire la fame a due milioni di persone”.
I civili non solo rischiano di patire la fame, ma non hanno neppure via d’uscita da una situazione letteralmente esplosiva: “E’ stato ordinato loro di evacuare, poi sono stati bombardati al valico di Rafah, che è l’unico punto di uscita da Gaza al confine con l’Egitto; una situazione assolutamente disperata“.
E sul dilemma circa gli aiuti umanitari – che però potrebbero giovare ad Hamas stesso – una soluzione è possibile: “Le alternative sono entrambe insufficienti, perché si dice che se diamo gli aiuti rinforziamo chi ha il potere, se non li diamo affamiamo una popolazione. Forse potrebbero esserci le condizioni per un monitoraggio, inviando qualche meccanismo di supervisione sul posto per vedere se gli aiuti vanno direttamente alla popolazione. Le alternative sono estreme, con un rischio di ulteriore radicalizzazione di chi non ha più nulla da perdere“.
L’intervista di Stefano Molinari.
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