“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Le parola sopracitate provengono direttamente dalla Costituzione italiana, quella più volte elogiata come “la più bella del mondo”.
Ed è l’articolo 21 a scrivere nero su bianco un concetto che ai tempi recenti tende ad essere dimenticato, messo da parte.
Il tutto con l’avvento dei social si è acutizzato: la libertà di parola e di stampa viene racchiusa in limiti burocratici, ma non troppo.
Come quelli del Digital Service Act, la legge europea contro la disinformazione che ha già cominciato a far vedere di che pasta è fatta.
Protagonista il Commissario UE Thierry Breton, che se la prende con Elon Musk per aver lasciato visibili troppi contenuti (come quelli sulla guerra in Israele) su Twitter. Altro esempio, che racchiude in sé il concetto di verità, è quello dei fact-checker.
“Il problema è che questi signori sono delle società private – sottolinea Fabio Duranti – quindi loro si appellano al diritto di dirti: ‘Stabilisco io cosa tu puoi dire e cosa non puoi dire’. Ma una società privata è tale affinché rimane a casa sua“.
Per cercare di salvaguardare un diritto che potrebbe prima o poi sbiadire, come ha già fatto in passato senza che nessuno se lo aspettasse troppo, giornalisti, scrittori, filosofi ma non solo, hanno deciso di lanciare la Westminster Declaration.
Il principio è uno solo: la verità non la decide la politica.
Martina Pastorelli, giornalista, spiega che “questi operatori possono farlo perché ci sono autorità governative che glielo fanno fare“.
“La dichiarazione fa riferimento a quello che chiama un complesso industriale censorio che è formato da enti, da piattaforme online anche, ma da realtà accademiche. Tant’è che ci sono un sacco di paesi nel mondo che sono lì per lì per far entrare in vigore certi provvedimenti legislativi che attuano questo tipo di censura“.
Tornando proprio al Commissario Breton, la giornalista racconta di un incontro con il CEO di Meta, Mark Zuckerberg.
Quest’ultimo avrebbe garantito al Commissario che avrebbero assunto “mille persone per fare il lavoro di moderazione dei contenuti“.
Resta da capire dove sia il filo invisibile oltre il quale ci si potrebbe trovare davanti a un vero e proprio Ministero della Verità.