“Immaginate su quale contraddizione vive il giornalismo“.
Enrico Michetti inquadra una delle problematiche del Bel Paese: al centro del tavolo c’è l’informazione.
Un’informazione che quasi per definizione dovrebbe avere lo scopo, appunto, di informare tutti, su tutto. Ma soprattutto liberamente, senza schemi o ipotetici interessi: il fine è unico e solo. Tuttavia, più volte informazione, giornalismo e censura sono venuti alle mani.
E in troppi casi ha vinto quest’ultima. Basti ricordare un po’ di storia non troppo lontana, l’epoca delle dittature più liberticide.
E la stampa da sempre ha avuto gli occhi di tutti addosso. Purtroppo per altri fini: veicolazione delle informazioni, di quelle che oggi chiameremmo “fake news”; manipolazione della realtà; propaganda politica.
Tutta una serie di violazioni che nel dopoguerra hanno trovato un’opposizione nella Costituzione. Non serve infatti ricordare l’importanza cruciale di articoli come il 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure“.
Una serie di diritti che però negli ultimi anni ha dovuto tirare pugni e farsi spazio, soprattutto nell’ambito dei social.
Le contraddizioni, secondo Michetti, sono evidenti: “I doveri deontologici del giornalista sono quelli di non accedere a forme di pubblicità, pena la radiazione, ossia tu non puoi essere influenzato o comunque non si può creare una forma conflittuale tra la tua libera espressione e interessi di natura mercantile. Però al contempo i giornali possono essere acquistati, gestiti da soggetti commerciali e tu giustamente per poter esercitare liberamente la tua attività all’interno di quel contesto ti devi allineare alla linea imprenditoriale dettata dalla proprietà. Voi immaginate su quale contraddizione vive il giornalismo“.