La coscienza di Dzeko

Diciamo che ci si sono messi un po’ tutti, in questi giorni, per rendere meno appetibile la Roma (a cominciare dai risultati che rendono improbabile la Champions, perché questo non va mai dimenticato): chi un giorno vorrebbe allenarla ma oggi non vede le condizioni necessarie; chi la sta allenando ma oltre al commiato già certo ufficializza, come se ce ne fosse bisogno, il commiato dalle ambizioni e infine chi dopo quattro anni si è destato dal suo letargo affettuoso e si è reso conto che qui ha consumato quella tranche, peraltro l’unica, della propria carriera in cui non ha vinto nulla. 

Parliamo allora di Edin Dzeko, che non è soltanto il grande attaccante deluso: è il paradigma, cioè il modello di riferimento della scarsa appetibilità della Roma attuale per chi dovrebbe allenarla, per chi dovrebbe giocarci, per chi…a proposito, ma c’è qualcuno che vorrebbe? In ogni caso ormai si vive al condizionale, in tema di futuro prossimo.

Però Dzeko è un paradigma per un motivo in particolare: lui già non sarebbe più qua se a metà della scorsa stagione non si fosse impuntato, con tanto di summit familiare, per restare in maglia giallorossa. Oggi ci dice che, in sostanza, volendo sintetizzare le sue dichiarazioni con una formula brutale, ha perso tempo. Quattro anni di tempo e di gol che non sono serviti a vincere nulla, per la precisione. Gol distribuiti in modo disomogeneo, aggiungiamo noi. 

Non a caso ora sceglie Parigi, dove almeno è sicuro di portare a casa un noioso scudetto. Lui sarà contento per una coda di carriera prestigiosa e munifica dal punto di vista contrattuale; la Roma rifiaterà dal punto di vista del bilancio e tutti saranno contenti. Oddio, forse non proprio tutti, ma ci sarà subito qualcuno pronto a dire che i tifosi, o almeno quelli non allineati, sono ingrati.

Piccola postilla: ieri Ranieri, che ha detto cose significative solo tra le righe, ha anche resuscitato il famigerato “ambiente”, dicendoci che la squadra è stata distratta da voci e polemiche. Sempre un ottimo argomento, al tavolo della deresponsabilizzazione