Anche Kissinger se n’è andato. Come in ogni caso, il mistero della morte chiede di essere rispettato.
Ma possiamo asserire, senza tema di smentita, che non avvertiremo la sua mancanza in sede politica e geopolitica.
Anzi, la morte di Kissinger, più di cent’anni di vita trascorsi sempre sulla plancia di comando, di fatto confuta il teorema secondo cui ad andarsene “sono sempre i migliori”. Il rispetto della morte in effetti non deve ipocritamente scadere in una indistinta beatificazione, come ovviamente sta già avvenendo in queste ore a tambur battente a ogni latitudine, naturalmente su tutti i canali.
La beatificazione di Kissinger si sta svolgendo su scala planetaria o, per essere più rigorosi, in quel quadrante occidentale del mondo che seguita a essere instancabilmente e inguaribilmente subalterno all’imperialismo di Washington.
Il governo italiano, sa va sans dire, non fa eccezione e anzi sembra essere particolarmente zelante, more solito, nel servire gli interessi del padrone a stelle strisce e nel beatificarlo qualunque cosa faccia, quandanche si tratti, come spesso è, delle azioni più nefande e delle imprese più criminali. Kissinger, diciamolo apertamente, è stato indubbiamente una figura chiave delle politiche statunitensi degli ultimi 50 anni. Egli ha svolto un ruolo da protagonista assoluto nelle decisioni più scellerate assunte dalla civiltà del dollaro in nome del proprio interesse imperialistico.
Voglio qui citare soltanto due esempi tra i tantissimi che si potrebbero agevolmente addurre per inquadrare sia pure brevemente la figura di Kissinger e per elaborare in tal guisa un pur sintetico giudizio sul suo operato così controverso.
Anzitutto fu, in larga parte opera sua, l’infame golpe del Cile del 1973. Golpe che, come è noto, rovesciò il benemerito governo socialisto-democratico di Allende e aprì le porte all’orribile dittatura del macellaio Pinochet, in quello che fu uno dei primi laboratori politici ed economici del neoliberismo a stelle strisce. Perché questo fu in effetti il Cile di Pinochet, con benedizione di Kissinger: un laboratorio autoritario neoliberista imposto coattivamente al Cile.
Ancora oggi, peraltro, si reperiscono piuttosto facilmente in rete immagini che mostrano strette di mano gioiose, euforiche ed entusiastiche tra Kissinger e Pinochet.
L’altro episodio che desidero celermente menzionare riguarda la guerra del Vietnam, allorché Kissinger, difendendola a spada tratta, ingiuriò senza ritegno i giovani che al tempo eroicamente si opponevano a quell’impresa criminale della civiltà del dollaro. Kissinger li qualificò impietosamente come “figli di papà” che non volevano di fatto l’interesse nazionale.
Dicevo che si potrebbero moltiplicare gli esempi, ma satis est, per dare un inquadramento generale del contegno pratico assunto da Kissinger e per comprenderne la natura non certo di eroe ma di macellaio, può bastare quanto qui abbiamo detto pur cursoriamente.
La storia, si sa, la scrivono sempre i vincitori. Ed è per questa cagione che in questi giorni l’ordine del discorso occidentale sta affannosamente, e anche un po’ goffamente, diciamolo, provando in ogni guisa a riabilitare Kissinger, e dirò di più, a beatificarlo, mediante una operazione che definire disgustosa è ancora poco. Anche per questo motivo, è d’uopo resistere alla riscrittura orwelliana delle cose e dell’ordine del discorso, mantenendo sempre viva la verità e con essa anche la memoria.
Perché solo se conosceremo realmente la storia e apprenderemo dalla sua lezione, eviteremo di tornare sempre di nuovo a ripeterla con tutte le sue tragicità e i suoi errori. Sicché vi è anche di che imparare dalla vicenda di Kissinger, giusto appunto per evitare di ripeterne gli errori e per smascherarli quando dovessero tornare a ripresentarsi.
Radioattività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro