Accade che in Sardegna una compagnia teatrale metta in scena “Il Piccolo Principe“, capolavoro della letteratura, opera che ha educato e continua a educare le generazioni dei più piccoli. Un’opera comunque che merita di essere letta indubbiamente anche da adulti.
Direte voi che si tratta di una scelta meritoria, quella della compagnia teatrale sarda.
E in effetti lo sarebbe, se non fosse che la compagnia mette in scena, dettaglio non trascurabile, una variante “rivisitata” del Piccolo Principe. Una variante, così leggiamo sulla locandina, “depatriarcalizzata“.
Proprio così il piccolo principe andrà in scena in Sardegna in forma “depatriarcalizzata”.
Non sfugga, sa va sans dire, il neologismo, degno di 1984 di Orwell.
Due considerazioni allora si impongono e le svolgerò brevemente.
In primis abbiamo ancora una volta la ben collaudata tendenza della cancel culture, la tendenza cioè a riscrivere i testi del passato sulla base delle sensibilità del presente. Proprio come accade nella distopia di Orwell, il passato diventa in tal guisa un palinsesto che può essere riscritto da capo per renderlo di volta in volta e in maniera mai definitiva compatibile e funzionale rispetto alle mode del presente e del suo imperialismo storico. Detto altrimenti, di volta in volta le opere della letteratura e i classici del pensiero potranno essere, come già in parte sono, aggiornati sul fondamento delle sensibilità del presente. In questo modo crolla ogni principio storico, crolla la conoscenza del passato, resta sempre e solo il presente con la sua volontà di riscrivere anche il passato in nome delle proprie leggi.
La lotta al patriarcato poi diventa un altro tema fondamentale che mi permette di svolgere la seconda considerazione che desideravo sviluppare. Non può infatti sfuggire nel tema che stiamo affrontando il richiamo ossessivo all’ideologia della lotta al patriarcato.
La lotta al patriarcato, sia chiaro, poteva avere un senso quando il patriarcato c’era ed era funzionale al sistema della produzione.
Sistema della produzione che in effetti un tempo necessitava della figura del padre padrone per giustificare l’oppressione del vecchio capitalismo autoritario. Non per caso il primo novecento fu anche il tempo dei padri padroni applicati alla politica, così si possono leggere le figure autoritarie delle dittature novecentesche. Ma dagli anni Sessanta il capitalismo ha abbandonato la sua vecchia struttura e con essa il patriarcato. Ed è diventato capitalismo di libero consumo, capitalismo di free market and free desire, per soggetti ridefiniti integralmente come consumatori trasgressivi e senza legge.
Dall’oppressione del patriarcato si è così transitati all’oppressione propria della società senza padri.
E l’odierna lotta al patriarcato non dice altro se non la lotta all’idea di famiglia e alla collaborazione tra i sessi, sostituendo, in tal guisa, la lotta di classe con la lotta di genere. Ecco perché la lotta contro il patriarcato oggi, nel tempo in cui il patriarcato non è più, non soltanto è assurda, ma di più è colpevole perché finisce per giustificare non la lotta contro un patriarcato ormai inesistente, ma la lotta contro la famiglia come base di resistenza all’individualizzazione consumistica della società.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro