Nessun giorno più di quello odierno, 27 gennaio, può rappresentare un buon momento per ragionare criticamente sulla memoria e sui suoi usi. Parafrasando il filosofo Adorno, il teorico della dialettica dell’illuminismo, il buon uso della memoria è quello che fa sì che, rammemorando le tragedie del passato, ci educhiamo a ciò che esse non possano più ripetersi. Per parte sua, invece, la memoria fine a se stessa è uno sterile esercizio privo di significato.
Uno sterile esercizio che finisce peraltro per ricadere nell’abisso della storia antiquaria così come la codificava Friedrich Nietzsche nella seconda delle sue considerazioni inattuali. Si tratta in questo caso di un uso sterile della memoria che non ha alcuna valenza educativa. Ma vi è poi anche un possibile uso cattivo della memoria, quello che la impiega per giustificare nuovi orrori.
Ed è quello che in larga parte sta accadendo oggi nel quadrante occidentale del mondo, ove la memoria degli orrori passati viene sciaguratamente impiegata e messa a frutto per legittimare nuovi orrori. Pensate anche solo alla propaganda che oggi viene fatta contro l’antisemitismo foriero delle peggiori tragedie del Novecento per delegittimare in toto ogni critica all’imperialismo di Israele. A questo riguardo mi pare doveroso citare una splendida lettera di Italo Calvino scritta nel 1968.
“A destare sconcerto” scrive Calvino “è che i perseguitati d’un tempo si siano trasformati in oppressori. E questo – seguita Calvino- è per noi il fatto più drammatico, quello su cui ci sembra più necessario fare leva”. Non lo si sarebbe potuto dire meglio.
Quando le vittime degli orrori vengono incorporate in un nuovo progetto orrendo di tipo ideologico, volto a giustificare la barbarie, si può dire che la memoria stia svolgendo una pessima parte. Ed è quello che sta appunto avvenendo oggi, nell’epoca in cui si usa la memoria storica per giustificare i nuovi orrori o anche per impedire la critica dei nuovi orrori. Tale funzione finisce peraltro per mortificare le vittime una seconda volta, annettendole in un progetto ideologico che ne tradisce la memoria.
Dunque, contro l’uso sterile e contro l’uso cattivo della memoria, si può ribadire con Adorno l’importanza del buon uso della memoria, quello educativo, quello volto a far sì che le sciagure non si ripetano e al tempo stesso utile a denunciare criticamente, se dovessero realmente ripetersi, le nuove sciagure. Perché si sa, la storia insegna ma non ha scolari. Ed è proprio per questa cagione che siamo condannati a ripeterla con tutte le sue tragedie e con tutte le sue atrocità, come anche ora sta avvenendo.
Insomma, il tempo odierno della ipermnesia, della memoria spasmodica, del ricordo ossessivo non serve, come eppure dovrebbe, a renderci più sensibili. più colti, più pronti a reagire ai nuovi orrori, a fare in modo che non si ripetano mai più. Al contrario, finisce in maniera opposta per renderci ciechi rispetto ai nuovi orrori, magari anche per giustificarli e per santificarli, come sta accadendo oggi in un occidente che, paradossalmente, quanto più vuole ricordare, tanto più sembra aver dimenticato.