Se la Formula Uno avesse un grande e occulto burattinaio che tentasse di muoverne i fili per rinfocolare la soglia di interesse per uno sport che negli ultimi tempi sembra avvitarsi su se stesso, e chissà che non esista davvero, questo per risollevare la passione popolare calerebbe Lewis Hamilton nell’abitacolo della Ferrari. Anche con la premessa di dover attendere un anno.
Burattinaio o no, ci siamo, con poco preavviso e con un potentissimo battage giornalistico nelle ultime ore, segno che la trattativa era stata portata avanti con diplomazia e che più che un colpo di fulmine potremmo definirlo un reciproco innamoramento tra enormi ambizioni: quella della Ferrari di affidarsi al grande nome (oltre che al pilota ancora più forte in assoluto) per un rilancio delle proprie ambizioni di vittoria; quella di Hamilton di coronare una carriera già leggendaria suggellandola con quel particolare che ancora oggi fa un’enorme differenza tra i grandi piloti di ogni epoca: avere o no corso per il Cavallino.
Il personaggio più “pop” per la scuderia più iconica, che resta tale a prescindere dalle vittorie: per l’ingaggio del pilota non vige il tetto di spesa che i team devono rispettare per lo sviluppo delle monoposto, dunque il mandato di John Elkann può essere onorato con la massima profusione di mezzi possibile.
A quale delle due parti conviene di più il matrimonio? A entrambe, è presto detto: a Hamilton perché in nel momento in cui l’opinione pubblica lo stava dichiarando definitivamente “vecchio” lui si rivela invece pronto per la sua sfida più suggestiva; alla Ferrari perché si regala quello che tra tutti i protagonisti del Circus è ancora in grado di grattar via decimi sul giro, in qualifica e in gara, laddove i cavalli del motore non dovessero arrivarci. Inoltre, il contributo di Hamilton in fase di sviluppo, attraverso la sua esperienza, potrà essere indispensabile agli ingegneri e utile a uno come Leclerc per colmare le sue lacune in quell’ambito.
Paolo Marcacci