E adesso anche Slow Food dice no alla carne sintetica. Carne sintetica che, come sappiamo, la neolingua ha già da tempo ribattezzato carne coltivata. Slow Food, per chi ancora non la conoscesse, è una benemerita associazione nata in Piemonte nel 1986.
Il suo obiettivo è chiaro e pienamente condivisibile. Resistere allo sradicamento gastronomico del turbo capitalismo globalizzato. Quel turbocapitalismo globalizzato e sradicante che, per intenderci, produce il piatto unico gastronomicamente corretto, che è poi la variante a tavola del pensiero unico politicamente corretto.
Esso livella i palati e genera una vera e propria dittatura del sapore, buona solo a garantire il big business delle multinazionali e degli arrembanti capitani del capitale stesso. Contro queste mode turbo capitalistiche che infuriano ormai in tutto il mondo, Slow food difende da sempre la sovranità alimentare e il cibo radicato nella cultura e nell’identità, lo fa proprio a partire da quel Piemonte che è tra i più grandi fortilizzi identitari del mangiare e del bere bene. Dopo qualche contraddizione iniziale, va detto, adesso Slow Food ha preso una posizione chiara e precisa sul tema della carne sintetica e dice no, difendendo quel mangiare carne in cui si cristallizza larga parte del senso della nostra civiltà occidentale.
Pensate che già nei poemi omerici, veniva assegnata la parte di carne migliore e più abbondante all’eroe che si era distinto sul campo marziale con le sue prodezze. Perché, come bene diceva l’antropologo Levi-Strauss, poche altre cose come il cibo racchiudono, custodiscono e tramandano l’identità e la cultura. Il gesto, apparentemente solo materialistico del mangiare, si rivela in realtà un gesto intrinsecamente culturale.
Per questo dire con Feuerbach che l’uomo è ciò che mangia, significa in realtà riconoscere che lo è anche sul piano identitario e culturale. Siamo ciò che mangiamo nella misura in cui nel mangiare è racchiuso il senso della nostra tradizione e della nostra identità. L’espressione tedesca Der Mensch Ist Was Er Ißt è tutta giocata sulla assonanza tra Ist “come egli è” e Ißt “come egli mangia”.
La si potrebbe rendere in latino con “homo est quod est”: l’uomo è ciò che mangia, ma l’uomo mangia ciò che è al tempo stesso poiché il nostro mangiare è sempre radicato nel nostro modo di essere, nella nostra identità e nella nostra cultura ed è per questo che in Europa appare disgustoso mangiare vermi, insetti e cavallette. Non perché non siano nutrienti o non giovino all’ambiente, ma semplicemente perché esula dalla nostra identità e dalla nostra cultura. Per dirla ancora con Levi-Strauss, è buono da mangiare ciò che è buono da pensare.
Si dice troppo spesso che l’uomo ha la testa e ha la pancia, ed è vero, ma la testa e la pancia sono più connesse di quanto si possa tutta prima immaginare. Ecco perché la carne sintetica, oltre a rappresentare l’apice della civiltà tecno-morfa e della sua folle mania per il sintetico, rispecchia perfettamente le tendenze sradicanti e disidentificanti della globalizzazione onni-livellante. Per questa cagione la resistenza al globalismo parte anche dalla tavola e dai piaceri della carne, come anche vengono detti.
E in questo caso Slow Food credo che abbia impartito una grande lezione a tutti. Difendere ciò che siamo significa difendere anche ciò che mangiamo.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro