Vi voglio riportare qualche dato: 189,5 miliardi di ricavi netti; +6% di crescita rispetto al 2022; 18,6 miliardi di utile netto; 11% di crescita rispetto all’anno precedente; +16% su base annua; 3 miliardi di azioni proprie; 12,9 miliardi di flusso di cassa industriale; +19% del bilancio 2023 sul 2022.
Vi sto parlando del gruppo Stellantis.
Ora, in questo quadro, con un aumento del valore di borsa registrato nell’ultimo periodo, progetti ambiziosi di espansione e via discorrendo, la situazione non è tutta rose e fiori, perché c’è una cassa integrazione per 2260 operai a Mirafiori.
Il che getta una certa luce di incertezza su questo quadro generale, ciononostante l’azienda propone un dividendo aumentato del 16% per gli azionisti rispetto all’anno precedente e un buyback di 3 miliardi entro fine anno. Insomma, è una solida situazione finanziaria. Nel 2023 Stellantis ha registrato profitti notevoli, ricavi netti in crescita del 6% a 189,5 miliardi, un utile netto di 18,6 miliardi, e l’amministratore delegato rassicura sul futuro confermando l’impegno in Italia e premiando sostanzialmente i dipendenti nonostante le sfide della cassa integrazione, dichiarando inoltre di volere produrre un milione di auto in Italia entro il 2030 pur persistendo incertezze sul destino di modelli come per esempio la Panda.
In questo scenario, tra promesse di una solida prospettiva italiana e distribuzione degli utili di oltre 20 miliardi ai suoi azionisti, di cui quasi 3 alla finanziaria olandese della famiglia Agnelli-Elkann, la domanda che io mi faccio è: e noi?
Cioè l’Italia e i cittadini? Perché noi dobbiamo pagare con cassa integrazione e incentivi – cioè dobbiamo mettere mano al portafoglio – per garantire loro il dividendo?
È fatto così per tutte le imprese?
Non penso che per il mio amico Mario e per il mio amico Antonello, proprietari di un ristorante, abbiamo la stessa attenzione che rivolgiamo a Stellantis. Qui la questione è politica, signori. Perché per le grandi imprese, le multinazionali, c’è un’attenzione di un certo genere, mentre per il tessuto industriale italiano, che è composto al 99% dai vari Mario e Antonello, non c’è invece la stessa attenzione.
Come persona che tutti i giorni incontra delle piccole e medie imprese italiane per fare consulenza di strategia, mi rendo conto che ormai c’è un totale distacco tra il mercato della piccola, media e micro impresa e il mercato delle multinazionali. E devo aggiungere anche della politica.
Malvezzi Quotidiani, comprendere l’economia umanistica con Valerio Malvezzi