Nel corso dei decenni valori e professionalità nel mondo della comunicazione sono andate perdute. Molti dei paradigmi della corretta informazione, per mezzo radio e non solo, sono scaduti, sono stati dimenticati o messi in secondo piano. “Oggi il principio di rendere professionale l’attitudine a comunicare, a parlare, non c’è più, perché non c’è il tempo. Per noi studiare e poi mettere in pratica i frutti di quello studio è stato importante, ci ha portati ad essere qui, quindi nel nostro caso, nel nostro mestiere, conoscere bene la lingua italiana, poi giocare con i dialetti, come faceva Proietti, come fanno tante persone, lo faccio anch’io modestamente nel mio piccolo, però avere la dimestichezza di un qualcosa. Oggi invece c’è una grandissima improvvisazione sui mestieri, e questo ha portato soprattutto il mestiere della comunicazione a non essere più professionale, a non seguire più le logiche della professionalità e anche se vogliamo della deontologia”. questa l’opinione di Fabio Duranti.
Sulla stessa linea d’onda anche Claudio Lippi: “Non ci dimentichiamo che dal ’54 noi abbiamo insegnato a leggere e scrivere a milioni di persone che dovrebbero ritornare a scuola oggi, anche in ambito giornalistico”. Un discorso che per Lippi non attiene solo alla sfera della pura comunicazione o del giornalismo, ma riguarda anche i professionisti della politica: “Ormai è rarissimo, e non voglio offendere nessuno, che un politico dimentichi di essere politico e che davvero parli di qualcosa che se è vero non ha un colore, non può avere un colore. E molto spesso, soprattutto nelle radio, in televisione, nei talk, che ormai sono prevalentemente di natura politica, i problemi si dicono dal ’54. Sono sempre quelli. La parola non corrisponde ancora e sempre meno ai fatti“.