Se ne erano dette di ogni: “Camilla Canepa aveva una malattia autoimmune“, che poi è diventata una “malattia del sangue“, che poi sono diventati tutti motivi per tacciare di complottismo chi chiedeva chiarezza sulla vicenda.
Quindi è arrivato il giorno della chiusura delle indagini sulla morte della giovane studentessa avvenuta nel giugno 2021, alcuni giorni dopo aver ricevuto una dose di vaccino Astrazeneca.
Ne emergono 5 indagati, 4 dei quali imputati di omicidio colposo. Non avrebbero sottoposto la diciottenne a tutti gli accertamenti previsti dal protocollo della Regione Liguria per il trattamento della sindrome Vitt, una forma di trombosi che aveva colpito la ragazza dopo l’inoculazione del vaccino.
Agli operatori che erano in servizio al pronto soccorso di Lavagna è contestato inoltre il reato di falso ideologico, non avendo attestato che la giovane era stata sottoposta a vaccinazione nella documentazione sanitaria.
Sebbene diversi organi di stampa insinuassero da tempo di mali precedenti la vaccinazione, dall’autopsia era poi emerso che Camilla “non aveva alcuna patologia pregressa e non aveva preso alcun farmaco e che la morte per trombosi era ragionevolmente da riferirsi a un effetto avverso da somministrazione del vaccino anti Covid“.
Inoltre, secondo l’accusa, gli esami non effettuati all’open day vaccinale avrebbero potuto permettere di evidenziare la patologia e attivare le cure che avrebbero salvato la vita della studentessa.
“Qualcuno ha indicato di non approfondire? Perché almeno questa domanda ce la dobbiamo porre“, commenta Fabio Duranti.
Nel caso di una sentenza con pena le risposte sarebbero due: “O non sei capace a fare il tuo mestiere, oppure sei in malafede, perché qualcuno ti ha detto che non dovevi andare a cercare in quella direzione. Questo per non suscitare dubbi nel Paese che avrebbero potuto ostacolare la campagna di vaccinazione di massa“.
L’editoriale a ‘Un Giorno Speciale’.
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