Variando un noto proverbio: “Anche l’ovvio vuole la sua parte”, l’ovvio vuole la sua parte soprattutto in tempi di confusione pittoresca e complessiva, come quelli che stiamo attraversando. Tempi in cui l’inversione orwelliana tra parole e cose regna sovrana a ogni latitudine, e svolge una parte ideologica niente affatto trascurabile a beneficio della glorificazione dei rapporti di forza realmente esistenti.
Uno dei cavalli di battaglia del pensiero unico dominante come sovrastruttura santificante l’ordine della globalizzazione neoliberale, riguarda l’identificazione irriflessa tra antisemitismo e critica delle politiche d’Israele. Come se appunto chiunque osasse criticare le politiche imperialistiche d’Israele fosse ipso facto un antisemita. In tal guisa, con tutta evidenza, viene delegittimata a priori ogni possibile critica su dette politiche imperialistiche, dato che è subito irrimediabilmente abbinata all’osceno antisemitismo.
Insomma, il teorema che identifica la critica delle politiche d’Israele con l’antisemitismo, si pone come un dispositivo ideologico atto a rendere impossibile qualsivoglia critica rivolta contro l’operare d’Israele, quando anche tale operare si determini, come oggi accade, nella forma di una inaccettabile aggressione ai danni del popolo di Gaza. Eppure, non occorre un logos particolarmente ipertrofico per capire che l’antisemitismo e la critica d’Israele non soltanto non coincidono, ma possono benissimo contrastare reciprocamente. Può infatti benissimo esistere una critica radicale delle politiche imperialistiche d’Israele che sia al contempo critica ugualmente radicale dell’infame antisemitismo come figura suprema dell’idiotismo umano.
“L’antisemitismo è il socialismo degli imbecilli” diceva Lenin. Peraltro non si spiegherebbe altrimenti perché moltissime teste pensanti ebraiche, come ad esempio in Italia Moni Ovadia, siano in prima linea nella critica delle politiche d’Israele e nella difesa delle ragioni del popolo palestinese. I quotidiani più venduti, espressione dell’ordine mentale dominante, vanno in questi giorni senza posa delegittimando come espressione di antisemitismo, le proteste di chi si sta opponendo alle oscene politiche imperialistiche d’Israele ai danni di Gaza.
Bisogna allora essere chiari e appunto ribadire l’ovvio. La critica deve dirigersi contro il governo di Israele e contro le sue politiche, non certo contro il popolo di Israele, che peraltro, da quel che apprendiamo dagli stessi quotidiani summenzionati, sembra sempre meno disposto a concedere il proprio consenso al presidente Netanyahu. Il trucco del pensiero unico è poi sempre lo stesso.
Consiste nella reductio ad monstrum di ogni figura possibile della critica dell’esistente.
Così chi critica la globalizzazione neoliberale e auspica il ritorno dello Stato sovrano-democratico viene liquidato come nazionalista fascistoide. Chi critica il nuovo ordine erotico, deregolamentato e auspica la difesa della famiglia viene ostracizzato come omofobo e fautore del patriarcato.
Chi critica la privatizzazione neoliberale e propugna il ritorno dei diritti sociali viene diffamato come stalinista. Chi difende le tradizioni e le identità contro lo sradicamento postmoderno viene demonizzato come xenofobo. E appunto, dulcis in fundo, chi critica le politiche imperialistiche d’Israele viene bollato come antisemita.
Si tratta di un trucco che non è certo difficile da smascherare e che tuttavia continua a operare largamente nell’immaginario collettivo. Complice la gran cassa mediatica ma complice anche il monopolio dell’ordine discorsivo detenuto dai padroni dell’informazione, quelli che tutto l’interesse hanno a che domini sempre un ordine mentale funzionale all’ordine reale dei rapporti di forza così come realmente sono.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro