E adesso gli Stati Uniti minacciano direttamente di fare sanzioni contro la Cina. La scusa è quella secondo cui la Cina è vicina alla Russia e inoltre vi sono istituti finanziari legati alle armi. Nelle scorse settimane e negli scorsi mesi abbiamo assistito imperterriti a sanzioni contro la Russia, contro l’Iran e contro il Venezuela.
Adesso non può che essere la volta della Cina. La civiltà del hamburger, l’abbiamo capito, sanziona democraticamente tutti quegli Stati che per una ragione o per un’altra si rifiutano di genuflettersi alla libido dominante del leviatano talassocratico a stelle e strisce. Perciò stesso vengono bollati con il marchio infamante di Rogue States, ovvero stati canaglia.
L’inimicizia di Washington verso Pechino è radicale e non deve essere trascurata. Mi spingerei ad asserire che l’inimicizia di Washington verso Pechino supera perfino quella rispetto a Mosca e a Teheran. Pechino, infatti, non soltanto non si piega a Washington, restando sotto ogni profilo uno Stato sovrano e indipendente.
Oltre a ciò, Pechino già da tempo ha superato Washington quanto a potenza economica e tecnologica, cosa che, ça va sans dire, Washington non è disposta assolutamente a tollerare. L’aveva ampiamente intuito e previsto Giovanni Arrighi nei suoi studi economici imprescindibili il lungo ventesimo secolo e Adam Smith a Pechino. Il ciclo egemonico americano, dominante nel XX secolo, sta volgendo al termine, diceva Arrighi, e la civiltà del dollaro, aggiungiamo noi, reagisce scompostamente al proprio inesorabile tramonto.
Reagisce scompostamente mettendo a frutto la propria supremazia militare e cerca in ogni guisa il conflitto con la Cina, accampando, con tutta evidenza, le scuse più improbabili e più surreali. Nel caso della Cina non ci stupiremo se sarà Taiwan, il casus belli in futuro. Da che Taiwan viene già ora utilizzata dalla civiltà del hamburger come bastone contro la Cina, con le stesse modalità con cui la civiltà stelle e strisce ha utilizzato l’Ucraina del guitto Zelensky, attore nato con la N maiuscola, contro la Russia di Putin.
Il vero problema per Washington, tuttavia, sta nel fatto che per un verso la Cina è a sua volta una grande potenza, un colosso militare, economico e del tutto in grado di difendersi fino alla fine, in grado di resistere dunque all’imperialismo fintamente umanitario della civiltà neo-leviatanica del dollaro.
Per un altro verso, non deve essere trascurato il fatto che la Cina, la Russia e l’Iran, ma poi anche i cosiddetti BRICS, stanno già da tempo collaborando per fare un fronte comune contro l’imperialismo umanitario di Washington. Questa è la novità degna di rilievo degli ultimi anni, ossia l’affiorare, pur tra mille difficoltà, di un nuovo fronte unitario e coeso contro l’imperialismo washingtoniano.
Un fronte unitario e coeso che sembra riproporre, pur nel mutato contesto sociale, storico e politico, il mondo diviso in blocchi come era prima del 1989. Sembrava con il crollo dell’Unione Sovietica che la civiltà del dollaro fosse destinata a dominare in maniera indiscussa il mondo intero e invece adesso si sta ricostituendo un mondo multipolare. Ciò che ci permette di dire contro Fukuyama che non si trattava nel 1989 della fine della storia, ma semplicemente della fine di una storia.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro