“Non fu Dante a scrivere la Commedia”: due attacchi arrivano allo stesso tempo, e non a caso

Diceva il filosofo Walter Benjamin che “neppure i morti saranno al sicuro dal nemicose vince“.
E il nemico sta vincendo su tutto il fronte. Il nemico coincide oggi con il fanatismo nichilistico e relativistico del capitale.
Esso ultimamente ha preso di mira anche il sommo poeta, Dante Alighieri.
Non per caso simbolo della cultura e dell’identità della nostra Italia, ma poi anche dell’intera civiltà europea.

La Divina Commedia è il poema dialettico della coscienza umana, che si perde e si aliena nelle regioni infernali per poi ritrovare se stessa, ascendendo fino al paradiso. Per quel che riguarda poi il De Monarchia, altro capolavoro dantesco, come sottolineato da Giovanni Gentile, esso rappresenta “il battesimo della modernità”, dacché riconosce la piena autonomia del potere temporale e dunque inaugura l’immanentismo proprio del moderno. Ebbene, il nichilismo relativistico sta sferrando i suoi più duri attacchi proprio contro Dante Alighieri, e non ce ne stupiamo affatto. Si dice addirittura in questi giorni che Dante non abbia scritto la Commedia.
Essa sarebbe invece stata scritta da una donna. Forse, si dice, dalla madre di Dante.

Ebbene, il nuovo ordine erotico, con la sua colpevolizzazione permanente della figura maschile, non può ammettere che il capolavoro della Commedia sia stato scritto da un uomo. E dunque adesso si inventa la possibilità che a scrivere la Commedia possa essere stata una donna. Addirittura si dice che da anni viene ventilata questa ipotesi ermeneutica. Magari presto ci spiegheranno anche che Dante in realtà era fluido e non binario: “Dant*”, dovremmo forse chiamarlo un giorno.

Come se non bastasse, vediamo proprio in questi giorni docenti che esentano allievi di altre religioni dallo studio di Dante, giudicato offensivo rispetto alle altre culture. La verità, non mi stanco di ribadirlo, è che chi ha una sua cultura e una sua identità non può trovare offensive le altre. È solo chi non ha una cultura e non ha un’identità che non può sopportare la sopravvivenza di culture e identità.
Questa è la cifra dell’ordine disidentificante della globalizzazione nichilistica turbocapitalistica. Essa lotta contro tutte le identità, acciocché resti solo il guscio vuoto dell’uomo, riempibile di volta in volta con le identità di consumo imposte dall’ordine della produzione e del consumo.

La disidentificazione turbocapitalistica trova infatti nell’assalto alla figura e all’opera di Dante un suo momento fondamentale.
Non si può distruggere l’identità italiana se non distruggendo la figura di Dante come simbolo e come cifra della nostra identità e della nostra cultura. Ed è anche per questo motivo che oggi più che mai abbiamo bisogno di Dante, di più Dante, tornando a studiare tutta la sua produzione letteraria, filosofica, poetica e politica con maggiore sforzo di quanto già non facessimo.

Dobbiamo difendere chi siamo e dunque dobbiamo proteggere Dante come baluardo e come fortilizio della nostra identità e della nostra cultura. E a Dante dobbiamo ragionevolmente applicare le sue stesse parole: “Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte“. Ecco perché più che mai dobbiamo batterci oggi per difendere chi siamo, difendendo il padre della nostra civiltà contro gli assalti che il nichilismo relativistico della civiltà dei mercati ha già da tempo deciso di sferrare contro la sua figura.

Difendere Dante significa difendere chi siamo, di modo che possiamo continuare a esistere radicati nella nostra cultura e aperti alla progettualità, contro i processi di disidentificazione turbo-capitalistici che vogliono toglierci le radici per toglierci anche la progettualità.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro