Non neghiamolo, in questa buia fase storica che stiamo attraversando, le buone notizie sono sempre più rare. Ebbene, una di queste è indubbiamente quella che riguarda la recentissima liberazione di Julian Assange. Dopo cinque anni trascorsi in prigione, il fondatore di Wikileaks può finalmente tornare in Australia.
Prima però vi sarà l’udienza in un territorio americano del Pacifico. Questo è il risultato di una campagna globale che ha coinvolto organizzatori di base, attivisti per la libertà di stampa, legislatori e leader di tutto lo spettro politico, fino alle Nazioni Unite. Ciò ha creato lo spazio per un lungo periodo di negoziati con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che ha portato a un accordo che non è stato ancora formalmente finalizzato, viene precisato da Wikileaks.
Insomma, una volta di più troviamo conferma del teorema secondo cui fatum non datur, il mondo sempre è quale noi lo facciamo. Esso diventa intrasformabile allorché ci convinciamo che lo sia, e dunque ci dispensiamo dalla fatica di trasformarlo. La realtà è possibilità, non brutta presenza immodificabile.
Sicché il teorema neoliberale secondo cui, Margaret Thatcher dixit ‘There is no alternative’, non descrive una realtà fattuale ma prescrive un contegno, quello all’insegna della fatale sopportazione dell’ordine delle cose. La sola virtù consentita nel panorama del There is no alternative sarebbe dunque quella della resilienza, ossia il contegno di chi accetta cadavericamente tutto quel che accade nella convinzione che altro non possa esservi. Proprio come il teorema della fine della storia, in fondo, che altro non fa se non prescrivere ai popoli di adeguarsi alle cose nella convinzione che non siano possibili futuri alternativi e che la storia si sia congelata.
Ebbene, la mobilitazione planetaria in difesa di Assange ha dato i suoi preziosi frutti. Ricordiamo che Assange è, tra virgolette, colpevole di aver fatto ciò che ogni giornalista con la schiena dritta dovrebbe fare. Egli ha fatto sapere ciò che il potere non voleva si sapesse, rivelando al mondo intero alcune non trascurabili malefatte della civiltà del dollaro.
Questo e non altro è il motivo del vile accanimento contro di lui protrattosi per tutti questi anni e ora finalmente risoltosi. In maniera diametralmente opposta rispetto al modus operandi di Assange, la massima parte del giornalismo oggi fa sapere quel che il potere vuole si sappia e non fa sapere quel che il potere non vuole si sappia, sicché larga parte dei giornalisti occidentali oggi risultano paragonabili a mandarini dello status quo, nella forma del nuovo clero, come lo chiamava Costanzo Preve, di santificazione dell’ordine global-capitalistico egemonico. Il nuovo clero, diceva Costanzo Preve, è composto da intellettuali e giornalisti che non fanno altro che produrre quadri simbolici di riferimento per l’ordine dominante, in una sorta di grande teologia della globalizzazione neoliberale.
Anche per questo, possiamo ben dirlo, larga parte dei giornalisti non sopporta Assange, rivelando nei suoi riguardi una incontenibile antipatia. Insomma, possiamo ripeterlo con enfasi e con certezza, Assange è un modello di libertà e di vero giornalismo, raro e dunque ancora più apprezzabile. La notizia della sua liberazione non può che rallegrarci massimamente, non può che essere un balsamo per il nostro cuore, come dicevo poc’anzi, una buona notizia nel mare tempestoso delle pessime novità che attraversano il nostro concitato e procelloso presente.
Con diritto possiamo allora ripetere con le parole del poeta NUNC EST BIBENDUM.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro