“Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale”.
Così parlava Mario Draghi il 16 aprile La Hulpe, in Belgio, a proposito di competitività. Il discorso di quel giorno è stato interpretato poi da molti come un manifesto ufficiale della linea “draghiana” per una nuova Europa. Il tutto qualche mese prima delle elezioni europee, motivo per cui sembrava un lancio a una possibile candidatura alla Commissione europea. Quel preciso punto del discorso lo ha notato bene Alberto Bagnai, deputato della Lega, che alla vigilia della prima ufficiale seduta del Consiglio, ci tiene a sottolinearlo a Giorgia Meloni e alla Camera.
“In questi giorni noi siamo molto preoccupati, siamo sollecitati in particolare appunto dai media e siamo anche sollecitati ovviamente da dinamiche politiche a occuparci di nomi, a occuparci di soggetti. Ma ci sono delle dinamiche oggettive che rendono, come dire, difficilmente sostenibile il progetto europeo nella sua attuale struttura.
Ricordo alcune campagne elettorali europee in cui praticamente nessuno era contento dell’Europa, anzi nessuno era contento di questa Europa e l’insistenza sul termine ‘questa’, che lasciava supporre che ce ne fosse un’altra possibile, era talmente evidente che un intellettuale che partecipava al dibattito aveva addirittura inventato un termine, il ‘questismo’, che è una forma di utopia europeista che lascia supporre che oltre a questa Europa ce ne sia un’altra. Ma l’Europa è quella che viene descritta dai trattati. Di che cosa ci parlano i trattati? Ci parlano di una Unione sempre più stretta fra gli Stati membri e ci parlano della volontà di costruire un’economia sociale di mercato fortemente competitiva.
Parliamo dell’Unione sempre più stretta. Quando sarà abbastanza stretta questa Unione, sempre più stretta? Quando si compirà la beata speranza e vedremo finalmente apparire l’Unione Europea non più come processo di transizione ma come istituzione effettivamente consolidata? Questo non è dato saperlo. Probabilmente questo è un pezzo della diffidenza che hanno i cittadini nel cedere o nel limitare la propria sovranità rispetto a qualcosa che non si sa che cosa sia, che cosa voglia essere. Questa non è filosofia, questa è una cosa molto pratica.
Vogliamo parlare della economia fortemente competitiva? Io, diciamo così, visto che il menu del giorno non cambia, porto in tavola sempre le stesse cose, che sono le considerazioni svolte dal Presidente Draghi nel suo discorso a La Hulpe il 16 aprile scorso.
Il Presidente Draghi ha parlato di competitività e ci ha fatto perfettamente capire qual è la contraddizione del progetto europeo.
Dal 1992 in poi, con il Trattato sull’Unione Europea, l’Europa ha preso una strada tale per cui la competizione fra Stati può avvenire solo in termini di costi del lavoro. Si è voluto in un’economia che dichiarava di essere di mercato, e che quindi attribuiva ai prezzi un valore allocativo molto importante, obliterare il valore allocativo del prezzo della moneta, del tasso di cambio, e si è spostato dal mercato finanziario al mercato del lavoro il peso dell’aggiustamento macroeconomico.
Sono tutte cose che sono scritte nei libri di testo. Il libro di testo su cui l’ho studiato io è stato scritto da Nicola Acocella che come Mario Draghi ha studiato con Federico Caffè. Quindi la scuola è quella ed è una scuola paradossalmente di sinistra, ma la sinistra queste cose le ha dimenticate.
L’accartocciamento dell’Unione Europea su se stessa è l’accartocciamento dei salari europei su loro stessi, che non è solo un enorme problema sociale causato dalla sinistra, che ha portato avanti l’agenda Draghi che tutti ricordiamo, quella dell’agosto 2011, ma è anche una contraddizione del sistema perché noi ci uniamo per creare un mercato interno che ci consenta di sostenere con la sua domanda le nostre imprese nei momenti di crisi, ma nei momenti di crisi l’unica modalità che abbiamo per sostenere le nostre economie, nei riguardi dei mercati esteri, è abbattere il potere di acquisto delle nostre famiglie tagliando i salari.
Quindi il paradosso è che per come siamo adesso la nostra struttura ci impone di comprimere il mercato interno esattamente nel momento in cui ci servirebbe. E quindi capite che qui l’esito di questo processo non può essere che una evidente disaffezione degli elettori”.
Ascolta il discorso integrale.