L’attentato a Donald Trump ha rischiato di diventare un altro, l’ennesimo, attentato alla vita di uno dei personaggi più importanti del globo.
Da sempre, il Presidente degli Stati Uniti (o il candidato, o l’ex Presidente) è la figura sulla quale risiede l’attenzione più totale.
Non solo mediatica, ma anche da parte degli agenti che gli girano attorno. Per difendere una delle persone più decisive del mondo, serve una delle squadre di agenti di sicurezza più addestrate. A volte però la storia vuole destini diversi dalla sicurezza. “La certezza non c’è mai”, in questi casi dice Fabio Duranti in diretta. L’assassinio di Kennedy ne è la riprova. Quello a Trump idem, ma che per fortuna o per miracolo non ha avuto la stessa tragica fine. Intanto però lo sparo di colui che è stato identificato dall’FBI come l’attentatore c’è stato e ha preso di striscio l’orecchio di Trump. Falle nella sicurezza?
“Se io sono un addetto alla sicurezza e rispondo al mio capo, e mi dicono: ‘mettiti lì e controlla questo tuo perimetro, questa tua area’, io non mi posso muovere da lì. Se io mi muovo da lì, dovessi muovermi da lì, e accade e dovesse accadere qualcosa in quel posto dove io dovevo presidiare, io finisco sotto processo. Quindi io da lì non mi posso muovere. Poi arriva un tizio e mi dice ‘guarda che c’è qualcuno che è salito sul tetto’, io prendo la mia radiolina e comunico al capo. Ma quel capo, se c’è un errore a monte e non ha gli uomini per mandarli a controllare, dove li toglie? In un altro punto? Lì è chiaro che c’è stato un errore di sottovalutazione: quel tetto doveva essere controllato, ma quello è l’errore, è la madre di tutti gli errori. Quello che è accaduto dopo è assolutamente normale“.
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