E’ l’era digitale, e quindi tutto ciò che viene è solo un risultato di un progresso tecnologico.
Dal punto di vista puramente tecnico non si può che esserne quasi certi. Dalla sponda, però, del progresso dell’uomo non è poi così sicuro che si possa considerare un progresso in toto. La dipendenza da social è solo una delle facce oscure di questa nuova epoca. Patologia riconosciuta ufficialmente, è però ancora presa troppo poco seriamente. Da alcuni sì: il “dopamine detox” è un distacco totale dai social che una nicchia di giovani sta provando a praticare. Niente social, niente reel: è questa la funzione che ormai tutti i social hanno inserito (e non a caso).
Difatti il continuo “scrollare”, come dice il neo-gergo digitale, funziona eccome. Non v’è praticamente giovane o adulto che non abbia mai, di questi tempi, passato minuti su minuti, ore su ore, incollato al telefono: lo scopo di chi crea il prodotto, ovvero la necessità dell’offerta. Questo grazie alla dopamina, come riferisce anche il docente di Comunicazione Alberto Contri in diretta. Lo stimolo breve va a creare una scarica di dopamina, l’ormone “della felicità” che nel momento in cui viene meno ti riporta lì dove hai provato quella sensazione. “Ti dà un senso di forza – spiega Fabio Duranti – di piacere. Ma poi dopo, alla fine dell’effetto, piombi in un disagio che è molto peggiore di quello che era prima dell’assunzione di queste sostanze“.
“Oggi i mezzi di comunicazione, i cosiddetti social, ma anche i media legacy, quelli tradizionali che si sono convertiti al potere, questo fanno: ti danno dei servizi che ti obbligano a stare sempre attento ma che non ti danno nulla“. E poi c’è l’algoritmo, che ti riproporrà “mille di quelle cose identiche e spiccicate, perché sanno che ti piace vedere quella roba là“. Ed ecco che nasce la cosiddetta “attenzione parziale”, che, vuoi o non vuoi, ha i suoi effetti.
Alberto Contri li spiega a Un Giorno Speciale.
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