La Roma è sempre più vicina alla cessione di Paulo Dybala ma il web non fa sconti. Gli utenti social non hanno risparmiato Daniele De Rossi da insulti, violenze verbali e minacce di morte. È una situazione che sta sfuggendo di mano quella dell’odio sulla rete che coinvolge e affligge la stragrande maggioranza dei personaggi pubblici e non solo. Non si risparmia dalle minacce di morte nemmeno la stessa tifoseria e tutto si stringe intorno alla figura (indispensabile o meno) di Paulo Dybala.
In merito alla vicenda si esprime il giornalista Tony Damascelli che sottolinea come nell’epoca contemporanea si siano persi i valori come l’umanità e l’educazione. Sono saltate le marcature che dovrebbero consentire di tutelare quella “gerarchia intellettuale” che merita rispetto, per aver studiato e approfondito un tipo di mestiere. È il caso di Daniele De Rossi che ricoprendo il ruolo di allenatore della Roma ha semplicemente svolto il suo mestiere e preso determinate decisioni. Ma il mondo dei social non ha filtri e non tutela nessuno.
“Lui è il responsabile tecnico della squadra e può anche decidere che tutti i calciatori vengano ceduti. Questo autorizza qualcuno a augurargli la morte dei famigliari o un tumore? Il tifoso faccia il tifoso, si arrabbi o fischi. Ma dobbiamo trovare una dimensione alle cose, altrimenti De Rossi come si può difendere? Solo denunciando. Perché 100 persone che insultano sono tante, sono dei malavitosi della vita.
La vicenda di De Rossi è emblematica e fa parte di un mondo dove sono saltate le marcature e le gerarchie. Chi ha studiato merita rispetto. Daniele De Rossi può sbagliare alcune scelte. Ma nessuno è autorizzato ad insultarlo solo perché la pensa diversamente. Se qualcuno non lo accetta che cambi canale e guardi un’altra partita. Una cosa è la critica, un’altra cosa è l’insulto”.
Il legame tra insulto e tifo
E se parliamo di “insulto”, per il giornalista questo è ormai parte integrante del tifo calcistico e non solo. La violenza verbale è una deriva dei tempi. “Guardate quello che succede nel tennis. Una volta era lo sport da circolo con riti cerimoniali, protocolli, comportamenti. Oggi invece c’è la calcistizzazione di tutto.
La calcistizzazione ha portato all’esasperazione, a non accettare il verdetto. Nel calcio prima di una partita si elogia l’avversario mentre una volta finita la partita ci si insulta, si da la colpa all’arbitro, al campo da gioco, eccetera. Nel pugilato accade il contrario: prima dell’incontro ci si sfida a parole e ci si minaccia.
Mentre alla fine dell’incontro, il vincitore solleva quello che è finito il tappeto, oppure lo aiuta e lo consola. È paradossale questa, no? Però accade. Nel calcio no, perché il ormai è una sorta di contesa a volte tribale”.