Ha “facilitato” terrorismo, pedopornografia, truffe e chi più ne ha più ne metta. Il concetto distopico è nascosto in quel “facilitato”. Pavel Durov si sarebbe macchiato di questi reati semplicemente non censurando gli utenti di Telegram. Almeno fino a nuove notizie. La sua piattaforma digitale non si vede accusata per la prima volta: era stato il Cremlino nel 2014 a muovere tali accuse a Durov quando si rifiutò di collaborare per acciuffare dissidenti come Navalny. Questo oggi nei quotidiani sembra essere finito nel dimenticatoio.
In attesa che affronti il processo in Francia, Durov viene fatto passare come poco più di un lacchè di Putin. Sbagliato, visto che fuggì dalla Russia proprio in quel periodo di richieste scomode.
Non è riuscito a sfuggire all’Occidente però, che ora con il DSA fa la voce grossa pure con Musk. La pretesa è la medesima: controllare e “moderare” la libertà di parola sulla propria piattaforma. “In pratica censurare”, aveva commentato il CEO di X sornione durante un’intervista. E in effetti stabilire che è il proprietario della piattaforma a decidere chi parla e chi no e non le leggi degli Stati è di fatto il superamento della volontà popolare a favore di un’oligarchia di imprenditori delle Big Tech. Imprenditori che, come nel caso di Durov (fino a nuovo avviso) quando non si allineano a un filone di pensiero, passano guai seri.
Ascoltate l’analisi di Matteo Brandi, segretario di Pro Italia, e Diego Fusaro a “Un Giorno Speciale”.
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