È un’Italia che vuole mostrarsi autorevole, sul terreno neutro del Bozsik Stadion di Budapest; proprio per questo le viene abbastanza facile esercitare anche la pazienza, nella misura in cui gli israeliani vanno fatti correre a vuoto reiterando il palleggio.
Con Bastoni che si aggiunge alla mediana in fase di impostazione e Raspadori che lì davanti si decentra con fluidità per mandare Kean a caccia di spazi lì in mezzo, buona parte del primo tempo se ne va con gli Azzurri che nell’ultimo terzo di campo sembrano non tradurre cotanto dominio nel possesso palla.
Minuto 38: Raspadori in posizione da trequartista, dal limite dell’area, apre a sinistra per Dimarco, mentre Frattesi va a procacciarsi il giusto spazio, coi tempi giusti, a centro area: cross teso dell’interista e frustata col pettorale, in contro tempo, dell’altro nerazzurro, quello che Inzaghi utilizza meno.
Strameritato 0 – 1 per l’Italia di bianco vestita, ringiovanita nei ritmi e nei tempi di gioco, in autostima crescente e con l’entusiasmo auto prodotto attraverso il compiacimento tecnico dato dalla fluidità del palleggio.
Secondo tempo con un palleggio un poco più sfilacciato in mezzo ma con maggiore propensione a viaggiare sulle fasce, prima con Bellanova e Dimarco, poi con Cambiaso e Udogie: qualità prima, qualità dopo; ai lati non siamo messi male.
Nemmeno in mezzo, in realtà: quello di Sandro Tonali è un ritorno pesante e autorevole, Ricci porta la palla nel punto più utile alla sua distribuzione, Frattesi sa essere la fionda di se stesso nel rilancio dell’azione.
Per lo 0-2, spezza un digiuno geologico in azzurro Kean, con un tap – in scolastico che merita di concludere chi segue l’azione.
L’1-2 di Israele arriva quando la partita sembra non aver nulla da dire e quando gli Azzurri, sotto il temporale, sono talmente in sicurezza da concedersi e concedere un mancato alleggerimento. Peccato veniale? Scommettiamo che Spalletti non la pensa così.
Paolo Marcacci