Nel secondo trimestre del 2024, il mercato del lavoro italiano ha registrato un aumento dello 0,5% degli occupati, e i giornali ne parlano in toni trionfalistici. Tuttavia, c’è stato anche un calo delle ore lavorative dello 0,2%, come rilevato dall’Istat. Le ore complessive di lavoro, secondo i dati statistici, ammontano a un totale di tot miliardi (tralasciamo i dettagli precisi), ma c’è stata una riduzione in settori chiave. Quali? Agricoltura, industria e costruzioni.
Il settore dei servizi in Italia sembrerebbe in crescita e rappresenta circa il 70% del lavoro totale. Questo è il dato statistico rilevante che voglio evidenziare per gli ascoltatori.
Il 70% del lavoro totale, con oltre 8 miliardi di ore lavorate, è concentrato nel settore dei servizi. La contraddizione tra l’aumento dell’occupazione e la riduzione delle ore lavorate si spiega con la crisi dell’industria e l’aumento della cassa integrazione, soprattutto per le aziende di grandi dimensioni. Anche il settore delle costruzioni ha visto un calo dell’occupazione, sebbene rimanga su livelli superiori rispetto al periodo pre-Covid.
Insomma, l’occupazione sembra aumentare, ma le ore lavorate diminuiscono. È una situazione paradossale. Nell’industria si lavora meno perché questi dati sono in parte falsati, ad esempio, dall’uso della cassa integrazione.
Agricoltura e costruzioni faticano, e solo i servizi tengono, confermando un problema strutturale del nostro Paese. Questo problema è una sorta di “terzomondializzazione” dell’Italia: stiamo diventando un luogo in cui, purtroppo, si forniscono prevalentemente servizi, ma non si produce più, né si coltiva.
L’altra sera, durante un webinar, ho mostrato dei grafici che dimostrano come abbiamo perso una quantità enorme di tessuto industriale da quando siamo entrati nell’Unione Europea. Questo scenario rischia di influenzare negativamente il PIL italiano, che potrebbe non raggiungere l’obiettivo di crescita dell’1% previsto per fine anno, nonostante i cosiddetti 24 milioni di occupati record raggiunti a fine luglio. Ma, ripeto, questi dati sono falsati: le persone che lavorano poche ore vengono registrate come occupati a tempo pieno; inoltre, il lavoro sta diventando sempre più precario e meno a tempo indeterminato. Infine, come ho documentato nei miei grafici, ci sono milioni di cosiddetti NEET, soprattutto giovani, ovvero persone che non sono né occupate, né in formazione, né stanno studiando.
In sostanza, abbiamo un’intera generazione, quella dai 15 ai 34 anni, “seduta sul divano”. Un giovane su quattro nel nostro Paese non fa assolutamente nulla. I dati sull’occupazione sono distorti, e inoltre gli imprenditori con cui lavoro quotidianamente in tutti i settori mi dicono: “Non riusciamo a trovare operai, soprattutto italiani”. È un problema su cui dovremmo riflettere.
Malvezzi Quotidiani – L’economia umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi