Neeskens, quando iniziò il Rinascimento

Tutto sembrò vecchio di un secolo, quando il rettangolo di gioco cominciò a puntellarsi di chiazze arancioni che, questa la novità, si mescolavano a ritmi mai conosciuti prima, come le luci stroboscopiche della Disco Music degli Anni Settanta. Quelli delle “seconde” rivoluzioni: le più dure, violente a tratti, con un impatto per certi versi superiore a quello del ’68 che aveva ucciso i “padri” di ogni ambito.

Ci fu chi scelse di esprimerla a pelo d’erba, la rivoluzione, con la maglia biancorossa dell’Ajax e col più naturale dei travasi, quindi, con la casacca di una Nazionale olandese che prima di loro, semplicemente, è come se non fosse esistita. Dopo, nessuno poté più prescindere, fosse pure per antitesi, dai capelloni che si scambiavano consegne in ogni zolla, con crescente efficacia.

Se Rinus Michels, prima con il club e poi con la rappresentativa in cui un’Arancia più meccanica di quella di Kubrick aveva soppiantato la simbologia dei tulipani multicolore, era stato Giotto nell’insegnare una nuova prospettiva e una diversa profondità allo sviluppo dell’azione, Cruijff era Michelangelo, in grado di unire con una finta mai vista prima il dito di Dio e quello dell’uomo. Allora Johan Neeskens non poté che essere Leonardo, quello nelle cui proporzioni atletiche c’era la perfezione delle linee rette a esaltare la rotondità levigata di una tecnica sopraffina. Quello che a una Monna Lisa di dribbling faceva corrispondere nitide architetture di regia; colui che con la sua estetica razionalità faceva sembrare i tedeschi dell’Ovest dei comprimari, anche se la Coppa furono Beckenbauer e gli altri ad alzarla.
Quello che se Crujiff era la Loren, lui era Silvana Mangano: per palati sopraffini, anche davanti alla risaia della linea mediana.

Nelle Tre Coppe dei Campioni, Supercoppa Europea, Coppa Intercontinentale vinte con l’Ajax; nella Coppa delle Coppe alzata col Barcellona, oltre ai campionati e alle coppe nazionali vinti in Olanda, c’è la semplice punteggiatura sparsa per il sentiero degli uomini che prima o poi se ne vanno. Nelle sue progressioni palla al piede con la maglia arancione, mentre un’orchestra psichedelica dello stesso colore si muoveva sotto la sua direzione, c’è la permanenza degli dei, che continuano a sbucare da un sottopassaggio, mentre i bambini di ieri continuano ad alzarsi in piedi per indicarli col dito.

Paolo Marcacci