“Il ragazzo dai pantaloni rosa”: dal cinema una lezione contro il buonismo pedagogico

Noi, a scuola, lo avevamo visto già prima che uscisse. Assieme a una rete di altre scuole, collegate in streaming dalle varie sale cinematografiche, con il dibattito seguente coordinato da Federica Angeli, in presenza di Teresa Manes, madre di Andrea Spezzacatena, alla cui vicenda è ispirato – Il ragazzo dai pantaloni rosa -, per la regia di Margherita Ferri.

Sono stati tanti i film, sempre piuttosto riusciti, sul tema del bullismo e della sua elevazione a potenza digitale, per così dire: il cyberbullismo, l’esposizione alla gogna virtuale con un riverbero di frustrazione e dolore reale. In una fase di vita che è, o dovrebbe essere, un fiore in boccio. – Il ragazzo dai pantaloni rosa – ha, in più, che è la narrazione cinematografica della vicenda di Andrea, finito alla gogna per quel paio di pantaloni, che originariamente nemmeno erano rosa, diventati tali a causa di un errato lavaggio in lavatrice. Andrea che a quindici anni, nel 2012, decise di uscire di scena, di non voler più nemmeno scoprire chi e cosa sarebbe diventato; di non sapere se tra le sue passioni avrebbe resistito più quella per l’atletica o quella per il canto. Anche di non capire definitivamente se gli sarebbero piaciuti i ragazzi o le ragazze, o entrambi, negli anni che ha negato a se stesso pur di anestetizzare con una fine anticipata il dolore provocato dalla sensazione di essere stato tradito da quegli “amici” dei quali si fidava, dai quali sperava di essere accettato a ogni costo. A ogni costo. Da un’altra, più annichilente sensazione, Andrea si era visto annientato, prima di decidere di farla finita: quella di essere precipitato nel pozzo nero della malvagità gratuita, che non ha alcuna ragione e alcuna scaturigine se non il pretesto futile di accanirsi su qualcuno, purchessia, fosse anche per il colore troppo sgargiante di un paio di pantaloni.

Ho osservato i ragazzi, durante la proiezione del film; i miei come quelli delle altre classi. La loro elevata soglia d’attenzione, così come lo sgomento per le scene in cui la persecuzione nei confronti di Andrea toccava il suo apice: non le minacce fisiche in tanti contro uno nel bagno della scuola, ma la scoperta dell’esistenza di un profilo Facebook creato appositamente per sfotterlo, per ghettizzarlo. E ogni ragazzo tra quelli che erano accanto a me durante la proiezione deve aver pensato: – Se è così facile, potrebbe capitare anche a me -.

Su una cosa non mi sono trovato d’accordo, durante il dibattito: il fatto che per l’ennesima volta sia stato tirato fuori il tema, trito e ritrito, del bullo che in realtà è il vero debole, che sceglie una vittima sulla quale esercitare le sue angherie per mascherare le proprie fragilità e tutta una serie di banalità, se permettete, sconfessate dai fatti.

Avrei preferito, perché è ora che si dica anche questo, che ai nostri ragazzi, tutti più o meno potenziali vittime, arrivasse il messaggio che nella vita si incrociano prima o poi i pezzi di merda e i figli di puttana, che a volte tali sono anche quando hanno tredici o quindici anni e che spesso restano tali anche a vent’anni di distanza. Basta, dunque, con questo buonismo pedagogico che solleva la questione senza mai risolverla: la storia di Andrea Spezzacatena, attraverso una pellicola nella quale ogni interprete dà il meglio di sé, deve servire a far capire ai nostri ragazzi che contro quella percentuale di guastatori delle vite altrui che sanno essere persecutori anche da ragazzini, occorre fare fronte comune, escludendoli in modo tale da ripagarli con la medesima moneta delle loro angherie.

Politicamente scorretto, ciò che sto scrivendo? Anche pedagogicamente, spero. Perché faccio presente che quando hanno chiesto a Teresa Manes se quelli che perseguitavano suo figlio fino al punto da indurlo a farla finita abbiano mai pagato sul serio, lei ha risposto che il procedimento si è chiuso dopo qualche tempo con un nulla di fatto. Ha poi aggiunto che spera che vadano a vedere il film, con una padronanza di sé che ai miei occhi è sembrata sovrumana.

Qualcuno di quei bastardi, fidatevi, a distanza di dodici anni, è probabile che stia pensando di avere soltanto scherzato e che la colpa è stata di Andrea, talmente fragile da non essere riuscito a reagire.

Paolo Marcacci