Avvocato cassazionista del foro di Napoli e figura di rilievo nell’ambito della terapia domiciliare per il COVID-19 in Italia, Erich Grimaldi è noto per essere anche il fondatore e presidente dell’Unione per le Cure, i Diritti e le Libertà (UCDL), un’associazione nata per dare voce ai cittadini e portare avanti battaglie di valore. Nel marzo 2020, ha creato il gruppo “#terapiadomiciliarecovid19 in ogni regione”, una rete che ha supportato migliaia di persone durante l’emergenza COVID-19.
L’obiettivo era battersi per una sanità territoriale efficace e per le cure domiciliari. Questo comitato ha raccolto l’adesione di migliaia di cittadini italiani, tra cui diverse categorie di professionisti, che chiedono la tutela dei loro diritti alle cure e una sanità pubblica snella e trasparente.
Non quella delle istituzioni allora vigenti, che insieme a diversi media mainstream delegittimarono e marginalizzarono il potenziale di una cura immediata per chi invece era confinato in casa, aspettando che i sintomi del Covid si aggravassero per chiamare l’ambulanza.
In commissione Covid, Grimaldi ha ripercorso tutte le tappe di quello strano cammino che inspiegabilmente portò al silenzio, quando non alla ostilità dei media e delle istituzioni.
“Intendo ripercorrere in ordine cronologico le principali tappe che hanno segnato la gestione della pandemia, evidenziando le problematiche emerse e ponendo una serie di domande che ad oggi non hanno ancora trovato risposta neanche da parte della Procura della Repubblica, alla quale ci siamo più volte rivolti.
Il mio obiettivo non è giudicare, ma contribuire a fare luce su decisioni che hanno avuto un impatto profondo sulla vita dei cittadini italiani. Già nelle prime settimane dell’anno 2020 erano emerse informazioni sul virus e sulla sua diffusione dalla Cina. Perché il piano pandemico nazionale non è stato aggiornato né attivato tempestivamente nonostante il rischio conclamato di una crisi sanitaria globale? Durante le prime fasi dell’epidemia i dispositivi di protezione individuale erano assenti o insufficienti.
Perché gli operatori sanitari sono stati esposti a rischio senza protezioni adeguate, nonostante fosse prevedibile la necessità di approvvigionamenti straordinari? Perché una circolare del Ministero della Salute del febbraio 2020, reiterata, sconsigliava le autopsie stabilendo: “Per l’intero periodo emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid, sia se deceduti in corso di ricovero presso il reparto ospedaliero, sia se deceduti presso il proprio domicilio.
Perché si è rinunciato a questa fonte di conoscenza ritardando la comprensione del ruolo dei fenomeni tromboembolici nella mortalità da Covid-19, come accertato poi in data 23 marzo 2020 dai medici Gianatti e Sonzogni dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo che decidevano in ogni caso di effettuarle? Con l’HIV in passato venivano regolarmente effettuate le autopsie. Perché il professor Andrea Savarino, dell’Istituto Superiore della Sanità, che aveva gestito con successo il protocollo della SARS-CoV-1 nel 2003 non veniva coinvolto nel CTS e mandato all’estero per poi essere a quanto pare comunque consultato per dare indicazioni sulla nota AIFA del 17 marzo 2020 che prevedeva l’uso off label di clorochina e idrossiclorochina?
Perché professionisti con esperienze in epidemie simili non venivano coinvolti attivamente nelle decisioni del CTS? E perché si pensava unicamente ad ospedalizzare i pazienti senza valutare una possibilità terapeutica a domicilio? Perché veniva di fatto introdotto l’approccio della vigile attesa con paracetamolo senza adeguate basi scientifiche? Perché dare indicazioni ai medici di famiglia di consigliare la vigile attesa, suggerendo l’utilizzo del paracetamolo in caso di febbre e di rivolgersi al 118 in caso di respirazione limitata o se scendeva la saturazione, che poteva ovviamente misurare solo chi aveva il saturimetro anziché curare precocemente i primi sintomi della malattia con normali farmaci da banco come gli antinfiammatori?
Perché nel marzo 2020 veniva sconsigliato l’utilizzo precoce degli stessi antinfiammatori preferendo il paracetamolo? Quali studi ed evidenze scientifiche hanno supportato questa linea terapeutica? E perché non si sono esplorate con maggiore determinazione le terapie antinfiammatorie in fase precoce o in seconda fase della malattia quelle anticoagulanti? Diversi medici sui territori avevano iniziato a segnalare risultati positivi con cure precoci a domicilio anche con l’uso off-label dell’idrossiclorochina prevista dalla nota AIFA del 17 marzo del 2020.
Perché queste esperienze non sono state mai ascoltate o integrate nelle linee guida e non veniva intavolato un confronto tra i medici che stavano curando a domicilio sui territori di varie regioni italiane? Il gruppo terapia domiciliare precoce invece riusciva con il banale social Facebook ad intercettare molti di questi medici in diverse regioni, favorendo già dal marzo 2020 un confronto sugli approcci terapeutici in fase precoce. Era così difficile? Il gruppo terapia domiciliare precoce, che dal 2020 ha raccolto oltre un milione di iscritti, diventava un punto di riferimento per molti cittadini italiani, inclusi rappresentanti politici, anche parlamentari. Dall’analisi di migliaia di post emergeva che circa il 97-98% delle persone contagiate che si erano rivolte al gruppo, avevano ricevuto indicazioni basate sulla vigile attesa e sull’utilizzo del paracetamolo anche in presenza di sintomi rilevanti.
Spesso i pazienti in piena emergenza ci intercettavano purtroppo quando già aveva una saturazione compromessa, e non nelle prime fasi della malattia non avendo ricevuto adeguata assistenza, purtroppo, da medico di famiglia e USCA. I medici del gruppo, discostandosi da quelle che oggi vengono definite “raccomandazioni ufficiali”, hanno scelto di assumersi la responsabilità di utilizzare farmaci ed in particolare, dalla seconda ondata, FANS, esperidina, coercitina e vitamina D, preferendo un intervento precoce anziché attendere il peggioramento del quadro clinico per poi utilizzare all’occorrenza antibiotici, eparina o anche cortisone. Nella storia della medicina non si è mai visto trattare i sintomi con l’attesa, un approccio che si è rivelato un errore già nella prima ondata e che è stato reiterato anche nelle successive.
Ciò è avvenuto nonostante l’assenza di studi randomizzati che validassero l’efficacia della vigile attesa e del paracetamolo. Una circostanza a mio avviso inaccettabile, considerando tutti gli studi contrari che nelle more successivamente venivano pubblicati, come quello randomizzato indiano in cui si metteva a confronto la somministrazione di indometacina e paracetamolo ai primi sintomi.
Perché la Presidenza del Consiglio e il Ministero della Salute non riscontravano la PEC del 30 aprile del 2020, inviata anche ad AIFA, in cui veniva richiesto un mio tramite dal gruppo Terapia domiciliare di stilare un protocollo univoco nazionale per la terapia domiciliare precoce Covid con libertà prescrittiva dei medici di medicina generale, senza attendere l’esito – spesso tardivo – del tampone ed evitando discriminazioni territoriali e temporali in danno dei cittadini italiani dovute all’autonomia delle singole regioni?
Siamo tutti cittadini italiani, quindi in quel momento in emergenza tutti avremmo dovuto ricevere la stessa determinata cura precoce a prescindere dall’autonomia sanitaria delle Regioni.
Perché siamo stati costretti a rivolgerci al Tar Lazio per ottenere la sospensione del 7 maggio 2020 di un provvedimento che limitava la libertà prescrittiva – badate bene, libertà prescrittiva – all’esito positivo del tampone che spesso in quel periodo perveniva dopo 10-15-20 giorni, allorquando la malattia era già stato avanzato? Perché nel corso della prima ondata nessuno ha pensato di coinvolgere i medici del centro sud meno impegnati con il Covid per assicurare a migliaia di pazienti contagiati del centro nord almeno un’assistenza telefonica o in telemedicina, come hanno fatto in modo gratuito i medici del gruppo di terapia domiciliare – che mi onoro di rappresentare – evitando l’ospedalizzazione a migliaia di pazienti dal mese di agosto 2020 per il tramite di un banale social network e poi di una web app?”
Ascoltate qui l’intervento integrale in Commissione Covid | 21 novembre 2024