Arriva la “carta d’identità verde delle aziende”, cioè come vessare ulteriormente le piccole e medie imprese

Le nuove linee guida del Ministero Economia e Finanze sul dialogo di sostenibilità tra banche e imprese in consultazione in questo periodo, introducono ben 45 indicatori per creare una, udite udite, carta di identità verde delle aziende. Cioè l’ultima follia europea, con un focus sull’ambiente, aspetti sociali e governance.
Chi vi parla è – incidentalmente – un docente di Corporate Strategy and Governance, quindi cosa c’è di sbagliato? Sulla carta nulla.
Il problema è che questi indicatori comprendono rischi climatici, gestione di rifiuti, disparità di genere, etica aziendale, sicurezza sul lavoro.

Tutte cose nobilissime.

Ma il problema qual è? Che alle piccole e medie imprese viene chiesto di fornire informazioni sulla sostenibilità. Informazioni necessarie per le grandi imprese e gli investitori lungo la catena del valore. Si tratta quindi di una mole di lavoro importante sui documenti da fornire. E ovviamente non lo paga nessuno questo, è a carico delle imprese (ulteriore vessazione burocratica).

Insomma, le microimprese dovranno rispettare 17 indicatori prioritari. Secondo il Ministero dell’Economia e Finanze, gli sforzi saranno compensati con dei benefici quali, in linea teorica, una gestione più accurata dei rischi, un migliore accesso al credito con costi ridotti – e grazie, non hai alternativa! – una maggiore resilienza a shock esterni e un posizionamento competitivo rafforzato. Tuttavia, molti dubitano della concretezza di questi vantaggi, sottolineando invece l’onerosità del processo soprattutto per le microimprese, cioè quelle che hanno meno di 10 dipendenti.

Chi fa tutte queste carte? In pratica, l’accesso al credito sarà influenzato dalla capacità di adeguarsi agli standard ISG. Le piccole e medie imprese pronte, otterranno finanziamenti più agevoli, mentre le altre, cioè il 99% delle imprese italiane, rischieranno un aumento dei costi o un razionamento del credito. E questo segna un cambio di paradigma.

Insomma, il cash flow (il flusso di cassa, cioè la ricostruzione dei flussi monetari di un’azienda o di un progetto nel periodo di analisi) sembra essere sostituito da criteri di sostenibilità dalla misurabilità incerta. Il tutto in un contesto regolatorio percepito come imposto al di fuori dei criteri e dei processi democratici, visto che ricalca semplicemente un certo modo di vedere delle multinazionali. Forse è il momento di chiederci se stiamo seguendo un percorso realmente utile oppure seguendo soltanto delle ideologie lontane dalla realtà produttiva.

La risposta è ovviamente la seconda.

Malvezzi Quotidiani, comprendere l’economia umanistica con Valerio Malvezzi