Possiamo ben dire che anche la banana di Cattelan rappresenta al meglio il nichilismo contemporaneo

Nei giorni scorsi, come senz’altro non vi sarà passato inosservato, ha avuto una certa diffusione la notizia della vendita della celebre, o forse famigerata, banana di Cattelan, la quale è stata venduta per ben 6,2 milioni di dollari. E adesso scopriamo che il facoltoso acquirente ha deciso di mangiare l’opera, ritenendo che quella sia la vera funzione dell’opera stessa. Ciò ci consente di svolgere alcune pur telegrafiche impressionistiche considerazioni, anzitutto sullo statuto dell’opera d’arte al tempo del nichilismo capitalistico.

Da sempre l’arte è un grandioso tentativo di fissare nel sensibile l’eterno, o per dirla con le lezioni sull’estetica di Hegel, è un tentativo di cogliere l’assoluto nell’elemento materiale, e ciò secondo forme sempre più spirituali e svincolate dal materiale stesso. Forme che, spiega Hegel, muovono dalla solida materialità dell’architettura, si pensi allo ziggurat. Passano per la scultura come tentativo di raffigurare il dio.

Muovono poi verso la musica, in cui l’elemento materiale tende a evaporare, e si dà tutto nel divenire incessante per cui la musica è e al tempo stesso non è. E infine culminano nella poesia, in cui, a giudizio dello Hegel, l’arte già trapassa nel concetto filosofico. Ebbene, la banana appesa al muro di Cattelan sembra, sotto questo riguardo, la negazione dell’arte così intesa.

Infatti, la banana, nella sua materialità concreta, rappresenta l’antitesi dell’Eterno e figura come l’effimero par excellence. Non si prova così a cogliere l’assoluto, ma si rinuncia programmaticamente a ogni assoluto. Non si guarda all’Eterno, ma si rinuncia a guardare all’Eterno.

Il fatto poi che l’acquirente voglia ora mangiare la banana, se quanto apprendiamo dai più letti ma soprattutto più venduti quotidiani, è esso stesso ampiamente significativo. Nel Mondo come volontà e rappresentazione, segnatamente nella terza parte consacrata all’estetica, Arthur Schopenhauer spiega che l’arte è un quietivo, vale a dire una forza in grado di placare, sia pure solo temporaneamente, la volontà nel suo illimitato volere. Ebbene, la banana di Cattelan, che ora viene mangiata, sembra anche sotto questo profilo l’antitesi dell’opera d’arte.

Tant’è che accende nell’acquirente il desiderio di mangiarla, potenziandone e non limitandone la volontà. Pensate anche solo alla differenza rispetto alle nature morte, con le quali tradizionalmente si raffigurava la frutta, ma si annichiliva al tempo stesso, sia pure temporaneamente, la volontà di mangiarla, la si contemplava nel suo puro essere. Possiamo ben dire dunque che l’epoca del nichilismo contemporaneo ha smarrito ogni rapporto con l’arte, oltre che con la religione e con la filosofia, e si è consacrata all’effimero e all’apparenza, in una vera e propria dittatura dell’effimero e dell’apparire, e fa dell’opera d’arte una semplice merce fra le merci, come magnificamente è stato rappresentato nella pellicola La migliore offerta.

D’altro canto, un’epoca cacofonica e intrinsecamente brutta come la nostra produce opere d’arte che dell’arte hanno solo il nome, quando in realtà, come mostrato, tradiscono l’essenza stessa dell’arte. La più plastica raffigurazione della bruttezza della nostra epoca si trova probabilmente nell’orinatoio di Duchamp e nella merda d’artista di Manzoni. Ma possiamo ben dire che anche la banana di Cattelan rappresenta al meglio il nichilismo contemporaneo.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro