Tutto previsto. Per il risultato. Non per la qualità del gioco. Un rigore, di quelli del football moderno, fischiato dopo sedici secondi, realizzato da Salah, prossimo Pallone d’oro, ha fissato la vittoria, bloccando il gioco, il raddoppio di Origi, nel finale, ha steso definitivamente il Tottenham che poco aveva fatto e qualcosa appena ha provato a fare quando i rossi di Klopp erano sfiancati dal caldo, andando soltanto in contropiede.
Una finale modesta, dunque, football confuso e confusionario, poco made in England e poco da campioni anche perchè, se qualcuno lo avesse dimenticato, il Liverpool non vince il titolo inglese da ventinove anni e il Tottenham da cinquantotto, qualcosa doveva significare e ha significato, perchè il calcio non tradisce, vive di passione e di pronostici, poi il campo, quando si arriva a questi livelli, ribadisce censo e valori. Salah, dopo il rigore, è stato un ballerino lontano dall’area, come i suoi sodali della prima linea, Mané e sopratutto Firmino, assente all’appello. Così come Kane, al rientro dopo infortunio serio, alle prese con quel caterpillar di Van Dijk che, con Koulibaly è il migliore stopper d’Europa, direi del mondo football.
Il Tottenham già allontanato in classifica dal Livepool in Premier, si è destato in ritardo ma non ne aveva in corpo e nella testa. L’arbitro Skomina ha fatto felice il suo compatriot sloveno, Ceferin, presidente dell’Uefa. Il rigore sfiora il ridicolo, il pallone ha colpito il petto di Sissoko e poi è rimbalzato sul braccio aperto; in questo nuovo calcio, così tecnologico e autoptico l’arbitro fischia e le partite cambiano direzione. Bah. Jurgen Klopp, alla fine, ce l’ha fatta. Non cammina da solo, come cantano i tifosi della K(l)op, il tedesco aveva perso le ultime sei finali dei tornei in Germania, in Inghilterra e in Europa, onore al suo lavoro anche se ritengo che questo Liverppool, così come il Tottenham, non abbiano lo stesso futuro glorioso degli altri grandi club continentali.
Tony Damascelli