Ho il massimo rispetto per le professioni usuranti e credo sia assolutamente corretto che abbiano un corso limitato nel tempo.
Certamente debbono essere censite, monitorate e per ognuna dovrebbe essere stabilita una permanenza massima del lavoratore in attività, magari ampliando, ed ulteriormente dettagliando, il raggio di questi mestieri particolarmente logoranti.
Ma non per tutte le professioni è così.
Considerate poi, che la vita media delle persone fortunatamente, grazie al progresso scientifico, si sta pian piano allungando. Come peraltro la qualità della stessa, garantendo all’individuo la possibilità di essere nel pieno delle proprie forze fisiche e psichiche per molto più tempo.
Chiaramente una comunità si sostiene se si tengono in equilibrio diversi fattori, peraltro in costante mutamento.
A molti piacerebbe andare in pensione precocemente, ma questo dovrebbe essere compatibile non soltanto con i conti pubblici. Ma nel sistema di qualità ed efficenza dei servizi.
Ecco perché, trovo assolutamente singolare che in un momento di recessione, in cui lo Stato è inoltre molto indebitato, si possano concepire riforme che al progressivo allungamento della vita rispondano con la riduzione del periodo di contribuzione dell’individuo al sostentamento attivo della propria comunità.
Per cui al netto delle professioni usuranti, una riflessione va svolta.
Considerate ad esempio la professione del medico, che al ricorrere di quota cento potrebbe andare in pensione a 63 anni.
A parte che 63 anni di oggi corrispondono ai 50 anni di qualche decennio fa.
A parte che oggi la maggior parte delle attività manuali sono state sostituite dal lavoro delle macchine.
Ma un medico a 63 anni che si trovi in piena salute, è nelle condizioni migliori per poter svolgere a pieno la propria professione. Ha affinato le proprie capacità. Ha accumulato esperienza. Può insegnare ai giovani.
Ma poi, un medico ospedaliero dovrebbe, al netto di tutte le distorsioni del sistema sanitario, costituire un valore, frutto del suo lavoro e dell’investimento che il Paese ha fatto su di lui.
Perché privarsene nel momento migliore?
Qualcuno direbbe per dare spazio ai giovani.
Ma se lo Stato accetta il pensionamento del sanitario sessantatreenne continuerà comunque, a corrispondergli uno stipendio senza riceverne la prestazione.
E se assumerà un giovane dovrà comunque pagarlo in sostituzione del soggetto in quiescenza.
Qualcuno direbbe lo pagherà un po’ meno. Ma anche la prestazione sarà quella di un neofita.
Alla fine andrò a pagare sempre due soggetti avendo però una sola prestazione ed avendo sostituito l’esperienza con l’inesperienza, e soprattutto non avendo fatto in modo che l’inesperienza potesse giovarsi dell’esperienza.
Se lo Stato ha quindi, deciso di pagare due soggetti per avere una sola prestazione, perché non allungare (piuttosto che ridurre) la vita lavorativa in ragione dell’aspettativa che si ha di essa (sempre che il soggetto si trovi in condizione di efficenza)?
Così a parità di costi piuttosto che avere una sola prestazione ne avrò due e consentirò a quella più giovane di avere maggior tempo per impreziosirsi. Anche perché porsi a totale carico della comunità, in piena efficenza, a 63 anni significa, senza prenderci troppo in giro, nella maggior parte dei casi, creare un nuovo lavoratore in nero.