E’ intervenuta oggi a Un giorno speciale l’autrice di Ho sconfitto la mafia.
Ha ricordato, attraverso le pagine del suo libro, Giuseppe Di Matteo, bambino strangolato e dissolto nell’acido per volontà di Giovanni Busca l’11 gennaio 1996, Marina Paterna, autrice di “Ho sconfitto la mafia. Io sono vivo!” e ospite questa mattina a “Un giorno speciale” con Francesco Vergovich.
Il racconto di ricostruzione dei fatti reali, realizzato con la collaborazione del padre di Giuseppe e collaboratore di giustizia, Santino Di Matteo, che perse la tutela della scorta “per andare a cercare il figlio“, come ha ricordato la Paterna, e “decide di fuggire, anche se non è stata una cosa immediata. Il bambino scompare e nello stesso momento in cui il bambino viene rapito, la famiglia non lo dichiara. La sera stessa arriva un bigliettino sotto la porta di casa della famiglia e si legge all’interno dello scritto ‘lo abbiamo noi’. Dopo qualche giorno, la madre del piccolo Di Matteo parla con la madre di Brusca, che le dice ‘stai tranquilla, al bambino non torceranno neanche un capello’. Diciamo che era una situazione di stallo in cui il bambino era, in qualche modo, protetto se così si può dire, al sicuro.“
“La strategia mafiosa era di mortificare il corpo del piccolo assassinato perché non dovevano dare una sepoltura degna ai familiari, nel senso che la famiglia non doveva poter piangere il corpo del bimbo” ha proseguito Marina Paterna, ricordando che il piccolo Di Matteo, al momento del sequestro, era “a San Giuseppe Jato, all’interno del maneggio dove lui si allenava ed era fantino di professione. Ad un tratto arriva una volante della polizia, scendono dei finti agenti dall’auto, il bambino si lancia verso di loro dicendo ‘papà, amore mio, dove sei?’ e gli agenti lo prendono, lo strappano dalle mani della persona che cerca di proteggerlo al maneggio e portato all’interno dell’auto. Lui non riconosce nessuno di quelle persone, tranne il guidatore, viene condotto all’interno di un fiorino bianco e da lì inizia il suo calvario, rimanendo in quel territorio.”
“Il sindaco di Jato, che mi ha supportato tanto in questo libro, mi ha portato all’interno del casolare di proprietà di Busca, che credo abbia il comune in gestione. A volte le case ti parlano, in maniera raccapricciante, delle persone che ci sono state, com’è stato anche per l’altro luogo, il bunker dove c’era il piccolo Di Matteo. Ho visto la porta aperta e un uccello morto per terra, la natura a volte ti ricorda cos’è avvenuto lì e chi c’è stato” ha raccontato la Paterna, specificando che, nel suo libro “scrivo del pentimento di Brusca. Lui si pente dopo tre anni dal fatto e ribadisce che, in quel momento, non ha ragionato ma anche che le cose non sarebbero andate diversamente.”
“Penso che Giuseppe Di Matteo non debba essere ricordato per come è morto in una maniera brutale” ha detto Marina Paterna alla fine del suo intervento “ma per quello che anche noi, comuni mortali, forse non abbiamo impedito. Tante persone, per dimenticare un fatto così atroce, hanno voluto mettere da parte questa storia, non raccontandola più, perché faceva troppo male. Noi non possiamo permetterci di dimenticare un fatto così grave, perché, se non lo ricordiamo, potrebbe reiterarsi nel tempo.”