Quello degli affari (anche di calciomercato) e dei procuratori è un mondo ben distinto dal calcio, una branca differente.
Funzionava in modo diverso una volta, funzionavano con fini diversi i procuratori, forse non godevano neanche della fama che hanno gli attuali.
Il ruolo dei procuratori è cambiato, come cambia il calcio, fino ad arrivare a cambiare – loro – il calcio stesso, indirizzandolo, guidandolo e, a volte, impossessandosene.
Non esisterebbero altrimenti commissioni da trenta milioni di euro per un semplice passaggio di un calciatore da un club all’altro, non ci sarebbero gli ormai famosi entourage: gruppi di persone tutte con l’obiettivo di assistere un solo soggetto.
Il primo motore immobile di questo cambiamento è sempre lo stesso: i soldi.
Provate a immaginare quanto potessero essere importanti i procuratori negli anni ’80, quando un calciatore importante poteva arrivare a guadagnare 200 milioni di lire, l’equivalente di 100mila euro attuali: non solo non era una cifra paragonabile a 30 né tantomeno a 10 milioni del nuovo conio (stipendi ormai percepiti abitualmente nel calcio) ma non serviva neppure un intero staff di persone per trattarli.
Questione di interessi, perché con l’infittirsi degli stipendi dei calciatori, è accaduto lo stesso per i procuratori, arrivando alla situazione attuale: sono loro a decidere il trasferimento, lo stipendio, i rapporti mediatici.
Ma perché?
Ce lo siamo chiesto a Radio Radio Lo Sport insieme alle nostre Teste di Calcio.
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