Oltre i numeri, ci sono gli uomini e gli umori, quelli cui sono soggetti e quelli che provocano negli altri. Ecco perché, dopo tre mesi abbondanti di lavoro con la Roma, almeno a giudizio di chi scrive non è corretto giudicare Paulo Fonseca soltanto dai dodici punti in classifica, dagli altrettanti gol realizzati o dai dieci, di certo troppi, gol incassati (quanti ne hanno incassati Atalanta e Napoli, che però hanno segnato di più).
Si sapeva, in partenza, che un certo periodo di tempo, da noi definito “laboratoriale”, sarebbe occorso affinché il gruppo digerisse i dettami del gioco del portoghese. Quello che si è compreso abbastanza presto, (ovvero dal tre a tre casalingo contro il Genoa), che a questo periodo avremmo dovuto aggiungere un altro lasso di tempo utile alla comprensione, da parte dello stesso Fonseca, delle specificità tattiche e agonistiche del campionato italiano.
Ecco perché abbiamo visto la Roma mutare, nell’assetto difensivo come negli equilibri della linea mediana, grazie anche agli innesti di Smalling, divenuto subito intoccabile per la sua efficacia e per il suo carisma da leader e di Veretout, per il quale vale quasi lo stesso discorso, nonostante qualche fase confusionaria in alcune delle ultime uscite. L’avremmo vista già molto più riconoscibile nel cammino verso la sua identità definitiva se non fosse già stata funestata da infortuni a raffica che hanno minato soprattutto la trequarti e la linea mediana, da Mkhitaryan scendendo fino a Diawara.
Nel frattempo, Fonseca è stato bravo, o più probabilmente gli è venuto naturale, a entrare sempre più in sintonia con la piazza (detestiamo usare il termine ambiente) quanto alla percezione degli umori e all’interpretazine di un certo spirito romanista, compresa l’espulsione di domenica scorsa al termine della gara contro il Cagliari: se dal punto di vista comportamentale è stato, ovviamente, un errore che ha avuto i suoi inevitabili strascichi in sede disciplinare, per quanto riguarda la soglia di appartenenza dell’allenatore al cosmo romanista diciamo che gli ha fatto salire un ulteriore gradino per quanto riguarda il gradimento generale.
Sempre in attesa di una definitiva identità di gioco, di un auspicabile filotto di risultati, dell’approdo alla definitiva soglia di autostima della squadra che deve essere uno dei principali obiettivi di Dzeko e compagni.
Al netto dei malumori di fonte arbitrale, si spera, dopo i primi campanelli d’allarme.
Paolo Marcacci
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