Era la prima volta, con il Muro di mezzo, più solido che mai. Sarebbe stata anche l’ultima, come se la Storia non affidasse mai del tutto al destino le sue – presunte – casualità.
22 giugno del 1974, Volfsparkstadion di Amburgo, Coppa del Mondo in Germania Ovest, dicitura che un ventenne di oggi ha trovato soltanto sul manuale di storia, senza averla mai sentita pronunciare, forse.
Di fronte, l’una coi nomi fulgidi dei suoi campioni pretendenti al titolo mondiale e con le divise rifulgenti opulenza; l’altra con la maglia di un blu quasi minimalista, con sul petto il simbolo austero dell’identità operaia e del collettivismo di stato: Germania Ovest contro Germania Est.
A separarle, prima del calcio d’inizio, una riga di gesso, per una volta: quella di metà campo, tra bandiere diversamente tedesche e il settore ospiti più surreale di sempre: quello dei tifosi, in maggior parte berlinesi, venuti Oltrecortina grazie a un permesso giornaliero, con membri della Stasi mescolati in mezzo a loro. Spolverini in pelle leggeri, pantaloni a zampa che non possono ambire a essere jeans; basettoni e capelli a mezzo collo per gli uomini: accettati da regime, in nome di una simbologia antiborghese.
Calcisticamente parlando, si preannuncia una mattanza: più umiliazione che goleada, quella che Beckenbauer, Vogts, Mueller e compagni dovrebbero infliggere ai dirimpettai della “Oberliga”. Del resto, nella DDR il calcio è la disciplina in cui confluiscono gli scarti dell’atletica o della boxe. All’est più di un cittadino, tra quelli insofferenti al regime, lo spera: una sonora sconfitta per fiaccare l’orgoglio dei papaveri di stato.
I primi minuti sembrano confermare il copione previsto. Piove, dalle parti del portiere orientale Croy. Senza mai grandinare. Merito dei suoi guanti, di un palo, di una elementare strategia di contenimento che porta la partita a languire, innervosendo quelli che vanno comunque definiti i padroni di casa.
Minuto 77: un lancio dal settore destro della metà campo trova la corsa di Jürgen Sparwasser, mezzala del Magdegburgo, che, tra Berti Vogts e Paul Breitner, si avventura in un controllo di testa, schiacciando la palla quasi col naso; il rimbalzo disorienta Breitner, col risultato che a quel punto Sparwasser si trova al cospetto della tardiva uscita di Maier. L’incredulità, in un fremito di rete.
Finirà così, con un gol i cui fotogrammi diverranno la sigla di ogni telegiornale della DDR, per anni.
La Germania Ovest diverrà poi Campione del mondo, a dispetto dell’Olanda di Crujiff.
Qualche amico del centrocampista, in Germania Est, maledirà quella rete così maldestramente comunista, in realtà più governativa che mai: grazie a un episodio di cui si percepisce subito la portata straordinaria, il regime di Erich Honecker potrà fregiarsi di un nuovo primato in chiave anti occidentale.
Nel 1988, approfittando di una partita tra vecchie glorie all’ovest, proprio Sparwasser, divenuto nel frattempo allenatore, lascerà la declinante DDR: più di qualcuno, tra i vertici della Stasi, vedrà in quel gesto una delle picconate definitive a un regime ormai vacillante.
“Tutti, ma Sparwasser no…” commenta laconicamente uno dei colonnelli della Stasi.
Paolo Marcacci
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