Nel 1987 l’Unione Sovietica ormai stava per dissolversi, il capitalismo finanziario accelerava, sapeva di non aver più rivali, si trattava soltanto di capire quando piazzare il colpo.
L’Italia dopo Sigonella non era più considerata un Paese affidabile.
Nonostante l’alto debito pubblico, l’Italia era un Paese fortemente competitivo e con il marchio complessivamente di maggior qualità al mondo si avviava a guadagnare la quarta piazza tra i Paesi più industrializzati del pianeta, dietro soltanto agli Stati Uniti, alla Germania ed al Giappone che comunque, aveva un debito pubblico di gran lunga superiore al nostro, ma come il nostro risiedeva per la gran parte in capo ai propri cittadini.
Le nostre riserve aurifere erano le più capienti d’Europa.
L’inflazione era più alta d’accordo, ma serviva a non aumentare le tasse ed a ridurre il potere d’acquisto dei salari così da facilitare la contrattazione con i sindacati.
Ma avendo la possibilità di stampare moneta si avevano le risorse per finanziare le riforme e le azioni di sviluppo del Paese, che sino ad allora trainavano la nostra economia attraverso una classe dirigente ancora capace di pensare in maniera consapevole e secondo logica, di pianificare e programmare di conseguenza e di tenere a bada l’ostracismo della magistratura militante.
La politica ungeva, ma dopotutto garantiva occupazione e sviluppo.
Non era proprio cristallina, ma la classe dirigente di allora era cento volte più preparata di quella attuale.
Sull’onestà non farei paragoni soprattutto al netto dei danni che saranno in grado di provocare gli attuali saltimbanco parlamentari, e vedrete che tra un po’ di tempo avremo le idee più chiare su chi veramente avrà portato verso il baratro il nostro Paese.
Fermo restando che quelli di ieri per la poltrona non avrebbero mai venduto il proprio Paese. Ed è stata probabilmente la loro condanna a morte.
Gli attuali avventurieri, voltagabbana, spesso senza né arte né parte farebbero ogni cosa pur di restare vergognosamente abbarbicati sullo scranno dei privilegi.
Una Germania unita, paese, ormai docile ed ossequioso, con una economia florida e stabile, offriva molte più garanzie della ribelle Italia, e soprattutto costituiva un cuscinetto fondamentale tra la Russia ed il resto del continente.
Persino la Francia non poté nulla sulla riunificazione tedesca, già decisa altrove, tra i potenti del mondo.
Mitterrand corse ai ripari e pretese la moneta unica.
Qualche anno fa mi venne a trovare un ex Governatore della Banca d’Italia e mi raccontò che, al tempo, aveva avvisato i vertici del Paese che occorreva prevedere tassi di cambio diversi ed armonizzatori in grado di integrare economie troppo diverse tra loro, altrimenti per alcuni Paesi si sarebbe messa davvero male.
Ma i vertici del Nostro Paese dissero che era tutto già concordato e quindi la decisione già definitivamente presa. Un decisione purtroppo irreversibile.
I Francesi capirono di non aver alternativa, chiesero ed ottennero una diarchia (governo a due).
La Tatcher si sfilò, capì per prima l’inganno, e disse: NO per ben tre volte.
L’area mediterranea compresa quella balcanica divenne territorio di conquista per i nuovi predatori.
Si trattò di una lenta colonizzazione bianca.
Quello che non poterono fare due conflitti mondiali lo avrebbe fatto l’unione monetaria.
Alla Germania fu concesso ogni agio che agevolasse non soltanto la riunificazione, ma anche una rapida ripresa economica della ex Germania Est.
16 paesi entrarono in breve tempo a far parte dell’asse teutonico. E l’euro venne costruito ad immagine e somiglianza del marco. Ergo, l’esatto contrario della lira.
Ma torniamo all’Italia. E torniamo al 1987. L’attacco al nostro Paese era previsto proprio in quel periodo. La Russia non foraggiava più il Partito Comunista e le nuove generazioni erano meno ortodosse, più ambiziose, avanguardiste, con meno scrupoli e soprattutto con il crollo del muro di Berlino assolutamente perdenti. Di perdenti c’è ne erano tanti anche tra le correnti di minoranza dei partiti di maggioranza. Anche nella Magistratura c’era chi predicava un rinnovamento radicale. Negli ambienti dell’emergente finanza internazionale infine, non erano in pochi quelli che avevano stretto rapporti con le rampanti consorterie nazionali.
Non avevano però fatto i conti con Francesco.
Con Francesco Cossiga che comprese immediatamente il perfido disegno. Fece circondare dai Carabinieri la sede del CSM, rispedì al mittente le richieste di impeachment e minaccio misure severe.
L’assalto fu sventato, ma soltanto per poco.
Nel 1992, un’intera classe dirigente fu sventrata. Cossiga aveva ormai finito il proprio mandato. Tutta la grande argenteria di stato venne svenduta per poter ossequiare i rigidi parametri fissati a Maastricht e successivamente. Tutti i nostri investimenti vennero dilapidati. I nostri marchi e brevetti presero sempre di più strade lontane sotto insegne straniere.
Veniamo quindi, ai nostri giorni.
L’euro si è rivelata una gabbia mortale senza che i nostri rappresentanti facessero nulla per contrastarne la sua costituzione così follemente antitetica all’economia italiana.
Il problema non è l’unione monetaria, non è l’euro, ma averlo creato ad immagine somiglianza del marco.
Ormai il sodalizio franco tedesco è fortissimo e in Europa chi non è già nell’asse teutonico fa finta di strillare un po’, ma poi si allinea.
D’altro canto la Troika è rapace e la Grecia rappresenta un monito per tutti.
Le sabbie mobili della nuova economia inducono i Paesi a stringere la cinghia sempre di più favorendo la nascita di formazioni politiche di veri e propri “improvvisati straccioni” (e non mi riferisco certo alla loro condizione economica, non mi permetterei mai, ma alla loro dignità pressoché inesistente) pronti a promettere fuoco e fiamme, quando poi, una volta al potere si rivelano pronti a fare il contrario di tutto, a fare patti persino con il diavolo ed a inchinarsi ossequiosi al cospetto dei nuovi padroni.
La classe dirigente dei paesi in difficoltà inoltre, rivelandosi incapace di pianificare qualsivoglia forma di sviluppo, di prevedere investimenti, e di allentare il cappio, si avvita su se stessa con riforme prevalentemente assistenziali, “manettare” e distruttive per il ceto produttivo.
Uscire dall’Euro oggi è pressoché impossibile, anche perché la nostra economia rischierebbe nel breve periodo di non tenersi in piedi a fronte anche dell’offensiva che probabilmente dovremmo subire da parte di coloro che hanno già guarnito il bocconcino italico.
E poi, diciamocelo chiaramente, non ci verrebbe consentito neanche dai ruoli di garanzia del nostro Paese.
Ed allora urge una riforma che avvicini l’euro ai fondamentali della nostra economia, altrimenti tra un po’ potrebbe essere un massacro.
Enrico Michetti
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