Atlete donne: professioniste si può! Un primo passo verso la svolta

L’ emendamento accorcia la distanza tra le donne e il riconoscimento della qualifica di sportive professioniste. Spetterà alle singole federazioni sportive decidere se aderire: se lo faranno, nei primi tre anni potranno usufruire di un importante esonero contributivo. Un primo passo verso la svolta definitiva?

La commissione Bilancio del Senato ha approvato un emendamento alla legge di bilancio 2020 che prevede l’estensione alle donne “delle tutele previste dalla legge sulle prestazioni di lavoro sportivo”, vale a dire il professionismo, finora presente, in Italia, solo in ambito maschile. Per favorire e promuovere il professionismo sportivo femminile, l’emendamento prevede anche un esonero contributivo del 100% per tre anni, precisamente da gennaio 2020 e fino al 2022 (entro un limite di 8 mila euro) per le società che stipuleranno con le atlete contratti da professioniste.

Tuttavia, ora spetterà alle singole federazioni sportive valutare se sarà possibile introdurre il professionismo nelle varie discipline: dopo i primi tre anni di esenzione contributiva, infatti, i costi di una lega professionistica aumenteranno sensibilmente rispetto a quelli attuali, soprattutto per le singole società. 

A tal proposito la Serie A di calcio femminile – sotto la giurisdizione della FIGC – potrebbe essere una delle prime leghe a introdurre il professionismo, considerando la crescita del movimento femminile, incentivata dagli ultimi Mondiali FIFA disputati in Francia che si sono rivelati un successo da un punto di vista mediatico e sportivo.

Sicuramente l’introduzione del professionismo femminile nel mondo dello sport segna un punto di svolta anche da un punto di vista sociale. Una svolta voluta fortemente dalle atlete a attesa da tempo. Da sottolineare la curiosa notizia che ha fatto scalpore nel resto del mondo, ovvero quella che ai Mondiali in Francia vedeva l’Italia come l’unica fra le otto migliori squadre del torneo a non avere un sistema professionistico nazionale. Basti pensare che la maggior parte delle giocatrici che militano nel campionato di massima serie oggi, pur svolgendo di fatto lavori a tempo pieno, non godono di retribuzioni mensili fisse, compensi previdenziali, tutele assicurative e contrattazioni collettive. 

La norma che regola il professionismo sportivo italiano, ora esteso anche alle donne, è la legge 91/1981, che nel suo secondo articolo recita: «Ai fini dell’applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica».

L’emendamento rappresenta un primo passo importante per l’uguaglianza di genere in ambito sportivo in Italia perché introduce (sebbene non ancora l’obbligo) un forte incentivo a equiparare le atlete agli atleti, almeno dal punto di vista contrattuale, fatta salva la volontà e il lavoro delle federazioni per riconoscere la professionalità e il lavoro delle atlete in quanto tali.