Roma, tutto il mercato viene al pettine

Analisi arrabbiata di una Roma che oggi è così e domani, si spera, sarà migliore.

1) A Madrid non ha offeso la sconfitta, ma il modo: squadra rassegnata, seduta al cinema in prima fila, senza volontà e spirito. Uno sbiadito ricordo della Roma stradarola che fu;
2) i migliori: Olsen e De Rossi, più un pizzico di Zaniolo, se non altro sfrontato. Non me la prendo con Florenzi, costretto a fare il marcatore su Marcelo: ma anche lui pavido. Un velo poco pietoso su tutti gli altri;
3) deludentissimi e irriconoscibili in particolare Fazio e Kolarov, che potrebbero pagare il post mondiale. Nzonzi cammina e non può fare coppia con De Rossi. Dzeko non può limitarsi a prendersela con i compagni: lui dov’è e con chi gioca?
4) i giovani? Per carità: tre direttamente in tribuna e quelli in campo meritavano lo stesso trattamento;
5) perchè tutto questo? Perchè un centrocampo che non è un reparto, perchè questo tangibile e insopportabile lassismo psicologico?
6) e siamo al mercato e dunque a Monchi (cui è piaciuta la Roma della ripresa, quando il Real si era quasi fermato).
La Roma semifinalista di Champions aveva bisogno di due grandi acquisti e punto. Lo spagnolo l’ha cancellata, proponendoci quella di oggi.
Dovrebbe spiegarci come mai: la Roma è dei tifosi, non sua o di chi lo paga. E la società in tutto questo che fa? Insegue il mondo e perde la Capitale? Sogna ancora lo stadio? Festeggia i trofei non vinti? È la società (chi, poi, il sempre lontano Pallotta?) che spinge Monchi oppure è sempre la società che ne accetta il lavoro? Ricordiamo di passaggio che le plusvalenze non vanno in campo e non fanno vincere le partite.
7) se Eusebio aveva meriti l’anno scorso, ha demeriti quest’anno: non se ne esce. Anche lui ci faccia sapere: ha consigliato o subìto il mercato? Perché la difesa non difende? Colpa del centrocampo? E chi ha scelto quei giocatori?
8) è il momento di dirsi le cose in faccia, di ammettere gli errori, di confessare i peccati. Solo dopo si potrà ripartire: il tempo c’è, la volontà non so.

Roberto Renga