La tutina di Achille Lauro, il monologo della bella Diletta Leotta e quello della tanto acclamata Rula Jebreal: tre cose che mi hanno colpito di Sanremo.
Una botta pazzesca per me che in tre ore di spettacolo mi sono sentita di un’altra epoca. Un po’ come la Leotta che cercava di convincerci che anche lei tra qualche decennio dovrà rassegnarsi alle rughe, a me sono arrivate già da un pezzo.
E mentre si esibivano ho dovuto ricorrere ai social per capire scelte che a prima vista non mi erano proprio chiare.
Tipo Achille Lauro che si spoglia rimanendo vestito solo di lustrini in una stretta tutina sbrilluccicante. Nella mia ingenuità credevo si ispirasse a Madonna, Britney, David Bowie o magari a Renato Zero invece ho scoperto dal suo account che ha voluto riportare in scena la spoliazione di San Francesco.
Il lasciar cadere la cappa nera di Gucci stava a significare proprio lo spogliarsi di ogni bene materiale. E io che pensavo volesse fare solo spettacolo e diventare un idolo inventandosi qualcosa di estremo che spesso anche altri in passato hanno provato a fare.
La finta gravidanza di Loredana Bertè fece discutere parecchio ma non era ancora il periodo del politicamente corretto, l’avesse fatto oggi avrebbe riscosso più successo.
Di Achille Lauro ho anche scoperto che è un figo perché è andato contro Dio, bigottismo e fascismo. Poi ho letto su Twitter che migliaia di donne lo amano perché come “ha saputo prendere per il culo lui nessuno mai”. Io le vorrei conoscere queste tizie, perché ho tutte amiche che quando vengono prese per il culo gli rode e non poco.
Sempre dai social ho capito che l’uomo quello macho, quello per capirci alla Ronaldo, non va più di moda, ho capito che ci devono piacere quelli un po’ moscetti, quelli senza troppe forme alla Achille Lauro insomma.
Solo che poi se vogliamo essere sincere a tutti i costi di solito a quelli così (non me ne voglia Lauro) non piacciono le donne. A lui può anche non fregargliene nulla ma a me i suoi fan un po’ di dubbi me li hanno messi in testa.
Ragazzi io vengo dalla generazione di David Bowie e oggi Achille Lauro mi fa un po’ di tenerezza.
La stessa tenerezza che mi ha fatto la bella Diletta Leotta quando apre il suo monologo dicendo “la bellezza capita”. Ovviamente ha ragione: la bellezza capita, e ha ragione anche quando con un bel sorriso ammette che se non fosse per la sua bellezza su quel palco dell’Ariston non ci sarebbe mai stata. Insomma è vero la bellezza capita, ma in alcuni casi avendo un famigliare chirurgo possiamo anche farla capitare. Per tornare alla mia generazione, tutto quel discorso l’avrei accettato da Virna Lisi, dalla Leotta mi sarei aspettata un po’ più di ironia.
Del resto nessuno condanna né chi ricorre alla chirurgia, né chi ricorre al fidanzato famoso nella speranza di un buon posto di lavoro.
L’unico commento che volevo fare e che invece non farò è sul monologo di Rula Jebreal.
“Bellissimo, vero, pieno di parole che tutti gli uomini dovrebbero condividere – hanno scritto tanti sui social – emozionante perché racconta una storia vera…” Poi capito per caso sul suo profilo e leggo che ringrazia Selvaggia Lucarelli e un autore Rai per aver contribuito alla stesura del discorso.
Insomma, non è suo.
Ora mi chiedo, fosse stata Selvaggia Lucarelli a fare lo stesso discorso avrebbe riscosso cosi tanto successo? Non credo. La verità è che alla fine conta di più la confezione che il contenuto. Il dubbio che siamo tutti un po’ ipocriti lasciatemelo. Buon Sanremo.
Susanna Marcellini