Sanremo è come l’ergastolo: fine pena mai.
Comunque ha chiuso il palcoscenico del teatro Ariston, continua la sagra, sulle reti Rai e nelle varie radio, tanto per tenere in vita la sedicente musica italiana ormai intossicata da altri generi.
Grandissimi ascolti, euforia nei corridoi e tra le scrivanie e poltrone sofà di casa Rai, applausi e rinnovo contrattuale per Amadeus e Fiorello che ormai sono I Soliti Noti, coscienza a posto con la sfilata di donne affascinanti, pagato il reddito di cittadinanza televisiva (da quarant’anni) a Benigni Roberto, passati i vip o simili, omaggiato il sindaco sanremese e la Riviera dei Fiori, allestiti teatrini di liti condominiali, previsto l’epilogo capriccioso di Morgan che non stupisce affatto perché sarebbe come invitare Sgarbi e Travaglio pensando che tutto finisca tra clavicembali e canto degli angeli.
Se ci fossero stati anche Barbara D’Urso e Chef Rubio lo spettacolo sarebbe stato completo, totale, esauriente ed esaustivo.
Cinque giorni, cinque pomeriggi, cinque sere e cinque notti e voglia di un’ora d’aria per fuggire da quest’isola ecologica che ha raccolto la qualunque, compresi i/le cantanti che ormai sono note a margine.
Perché contano gli abiti, i trucchi, i parrucchi, se poi c’è la melodia non guasta, se poi c’è un testo in italiano accettabile avanti Savoia.
Ne riparliamo tra qualche anno, quando sarà il tempo di ricordare un motivo o motivetto e vedremo chi ne sarà in grado.
Sipario anche sulla sala stampa, ritrovo di figure che si perdono per il resto dell’anno ma che in una settimana hanno dato spettacolo, all’insaputa del festival.
Tony Damascelli