Giusta la prevenzione, ma ormai il problema è garantire la cura

Ieri mattina, mentre oggi il governo vara misure drastiche e straordinarie per arrestare il paese, mi raccontano che in un ospedale vicino Roma non tutto il personale sanitario aveva mascherina e guanti in lattice. 

Si pensa a fermare il campionato di calcio mentre nei luoghi dove più alta è la possibilità di contagio non si è pensato ancora ieri di adottare cautele basilari. 

Il calcio è un’azienda come tutte le altre, anche perché se chiudi il calcio allora dovresti chiudere tutte le imprese. 

Forse non si è compreso che la fase più critica non è più quella soltanto del contagio, ma quella della cura. 

Il coronavirus ha una particolarità, come tutti saprete, che in una parte dei contagiati sviluppa delle crisi respiratorie intense che talvolta necessitano (anche in individui giovani) dell’assistenza di specifiche macchine. 

La capacità di analisi – nel momento in cui il fenomeno stava filtrando anche in Europa, periodo nel quale si sarebbero dovute chiudere porte e finestre, e non le imprese – imponeva allora, di cercare di capire come fronteggiassero in oriente il problema e quali cure realmente avessero successo. 

Per salvare le persone, e lo sapevamo perlomeno dal 15 gennaio, serve avere un numero sufficiente di respiratori meccanici. Non puoi pensarci quando il problema va al collasso. 

Ci dicono di tenere duro perché il 15 marzo arriveranno mascherine per tutti. Ma scusate più di un mese e mezzo dopo i primi contagi!? 

La mascherina dovrebbe ridurre drasticamente la possibilità di contagio, ma utilizzarla quando ormai i buoi sono già scappati dalla stalla serve a meno. 

Probabilmente gli infettati saranno in numero molto più numeroso degli accertati, ma oggi oltre a chiudere serve soprattutto fronteggiare la fase acuta. 

Quindi curare. 

E per curare occorreva per tempo e non tra due mesi, quando potrebbe essere troppo tardi, dotarsi dei macchinari salvavita. 

La buona notizia non è soltanto aver adottato per la prima volta misure omogenee su tutto il territorio nazionale, anche se non dovresti lasciare porti, aeroporti ed autostrade aperte a coloro che potrebbero provenire da paesi che non hanno ancora adottato misure di contrasto radicali (e dubito che le adottino anche in futuro viste le ricadute drammatiche che tali restrizioni potrebbero provocare al tessuto economico di una nazione). 

Lo dicevo nel post precedente tutti i Paesi dell’area Schengen ove vige la libera circolazione dovrebbero concertare ed adottare le medesime misure, altrimenti si rischia di vanificare il sacrificio di chi ha deciso di fermare quasi totalmente il proprio sistema produttivo.

In radio mi è capitato più volte già a gennaio di chiedere misure omogenee tra i paesi europei, giunsi persino a chiederlo in diretta al vice ministro da cui ebbi rassicurazioni. 

Ad oggi ancora nulla e noi abbiamo fatto poco o nulla perché ciò accadesse. 

Sempre in radio dicevo che vista l’esperienza cinese dovevamo attuare prontamente tutte le misure necessarie a creare un numero capiente di posti in terapia intensiva. 

Al tempo feci l’esempio che 10.000 posti in più in terapia intensiva per approntarli sarebbe stata necessaria la spesa di circa un miliardo e che tale somma avrebbero potuto decurtarla dai 10 miliardi previsti per Quota 100 anche perché se si fosse scatenata l’epidemia il personale sanitario che fosse andato in pensione con le agevolazioni della norma sarebbe stato comunque richiamato.  

Avevo detto che sarebbe dovuto intervenire l’esercito non certo in assetto di guerra ma attraverso i suoi spazi vuoti e liberi, e la possibilità di derogare alle norme, sarebbe stata la soluzione più tempestiva per creare unità di contrasto al virus in apposite aree dedicate (ex caserme) per evitare di mandare in sofferenza gli ospedali in cui peraltro vi sono soggetti che necessitano di cure costanti fondamentali per la sopravvivenza come i malati oncologici. 

Oggi, in una fase di propagazione ormai massiva del contagio, ci si attendono provvedimenti seri ed immediati in grado di garantire una cura a tutti, senza dover neanche pensare ad orribili ed incivili selezioni tra chi dovrebbe vivere o morire. 

Non si può neanche lontanamente pensare di coprire forme di immobilismo sul fronte dell’approvvigionamento repentino degli strumenti idonei alla cura con una sorta di arresto collettivo della popolazione italiana, per quanto necessario, ma di per se non sufficiente nei confronti di chi il virus purtroppo lo ha già contratto e che da un momento all’altro potrebbe declinare in fase acuta. 

Invocavo l’esercito che attraverso norme commissariali evitasse le paralizzanti norme anticorruzione in ordine alle quali per gli acquisti sarebbero necessarie sempre le rituali procedure di gara (tra i tre ed i sei mesi). 

Comprenderete che per attrezzature che servivano ieri non si dovrebbe attendere un solo giorno di burocrazia. 

Al contrario una volta individuata la spesa congrua per la necessaria dotazione si dovrebbe agire con affidamenti diretti, privilegiando operatori di mercato in grado di fornire immediatamente le apparecchiature pronte all’uso. 

In passato operavamo così portando a sistema i posti letto, guardando sempre ad un numero ragionevole e proporzionato alla nostra popolazione. 

Negli ultimi vent’anni, a causa dei tagli, i posti in terapia intensiva hanno avuto il necessario adeguamento tecnologico, ma a fronte di una riduzione considerevole e cronicizzata del loro numero. 

Ogni anno per la normale influenza muoiono circa 10.000 persone e quasi ogni anno, in fase di picco della malattia, i giornali parlano di terapie intensive al collasso. 

L’ultimo caso fu nel 2018. 

Ma la classe dirigente politica ha avuto probabilmente sempre altre priorità. 

Oggi purtroppo il fenomeno è più grave di una normale influenza, ma va gestito senza creare panico, sicuramente con misure di contrasto al contagio, ma soprattutto OFFRENDO CERTEZZA DI CURA PER TUTTI nella speranza che il maggior numero di afflitti possa guarire. 

Il panico o la paura non aiutano, soprattutto se traspare da atti di governo parziali e tardivi, laddove non confusi e contraddittori. 

La lungimiranza dovrebbe portarci in questa fase, senza dubbio a gestire l’emergenza nel modo più efficace possibile, ma ad avere una testa già pronta a pianificare provvedimenti atti a ridare vitalità ad un paese economicamente in ginocchio. 

Purtroppo le emergenze mettono a nudo il dilettantismo, l’inadeguatezza, l’inesperienza e dissolvono le illusioni create artatamente dalla demagogia.


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