Quante sere, non solo nel fine settimana ma anche quando rientriamo tardi e molto stanchi da lavoro, ci coglie quella voglia improvvisa di pizza? Un cibo veloce, poco impegnativo e in grado di trasmettere gioia sia consumata in compagnia che da soli.
Della pizza possiamo ricordare che già seimila anni fa in Mesopotamia gli agricoltori raccoglievano i chicchi di grano, li pestavano e se ne nutrivano trasformandoli in piccole focacce rotonde, cotte su pietre roventi. Seimila anni fa in Egitto fu scoperta la lievitazione (anche per la produzione della birra) e inventato il primo forno. Nella Roma antica era diffusa l’usanza di cucinare focacce di farro, mentre a Napoli intorno all’anno Mille compare la picea e successivamente la pizza, termine che indicava un disco di pasta coperto con diversi ingredienti e cotta al forno.
Dopo il 1492, giungono dalle Americhe diversi prodotti (patata, granoturco, peperone, fagioli, zucchine,ecc) tra cui il pomodoro che sarà utilizzato nelle regioni meridionali italiane per arricchire la schiacciata di grano (mentre al nord si affermerà la polenta derivata dal mais).
La pizza napoletana originaria era ed è ancora oggi, per coloro che seguono i dettami della preparazione tradizionale, un miracolo di equilibri e maestria, ottenuta con soltanto farina, acqua e lievito, olio o strutto, polpa di pomodoro, aglio, origano e sale. Un cibo quindi fatto con ingredienti poveri (come la maggior parte dei napoletani dell’epoca) ma capace di risvegliare il vero piacere di mangiare, tanti sono i profumi e i sapori che in essa si amalgamano in modo talmente armonioso.
Nel 1700 sia il pomodoro che la mozzarella cominciano ad essere facilmente reperibili sui mercati e venduti a un prezzo accessibile alla maggior parte dei cittadini, anche quelli meno abbienti: la pizza assume i colori bianco e rosso. Per poi arrivare al 1889, quando il re Umberto I di Savoia visita Napoli insieme alla consorte, la regina Margherita: è a lei che il cuoco Raffaele Esposito della Pizzeria Brandi dedica una particolare pizza arricchita di basilico in modo da conferire al prodotto finale i colori della bandiera italiana, denominandola pizza Margherita. Secondo alcuni studiosi sarebbe solo una leggenda metropolitana, in quanto pare che la pizza margherita sia nata a Napoli ben prima, ovvero fra il 1796 e il 1810.
Ma passiamo all’argomento focus di questo articolo, ovvero la bevanda che abbiniamo ad una buona margherita mentre la consumiamo. Per anni abbiamo creduto che l’abbinamento ideale fosse quello con la birra o la coca cola. Una “tradizione” frutto del Novecento, era della crescita esponenziale delle multinazionali, dei grandi marchi, della pubblicità, che ebbe i suoi effetti prima in America e poco dopo, di riflesso, anche in Europa.
Navigando per il web e digitando in un qualsiasi motore di ricerca le parole “pizza con birra o coca cola”, potrete notare moltissimi risultati, tra blog, forum e articoli di riviste online che hanno reso questa domanda un vero trend topic online. In molti sostengono che sia meglio abbinare alla pizza la celebre bevanda gassata, dalle “componenti segrete” che aiutano in parte a digerire, degradando più rapidamente (anche se non sappiamo secondo quale chimica magia) il cibo nel nostro stomaco. La birra inoltre sarebbe sconsigliata in quanto contenente lieviti vivi, che aggiungendosi alla massa altrettanto lievitata della pizza genererebbero un maggior senso di gonfiore al termine del pasto.
Per quanto ci riguarda, preferiamo solo ricordare che la birra e la coca cola sono entrambe bevande contenenti anidride carbonica, dunque il famigerato effetto di gonfiore con tutta probabilità si verificherà in entrambi i casi. Inoltre, abbiamo introdotto l’articolo con una breve storia della pizza proprio per rendere più evidente che, vista l’epoca della nascita, la bevanda da abbinare in tempi antichi non poteva essere altri che il vino.
Un abbinamento assolutamente non errato, ma anzi trattato anche nei manuali dell’Associazione Italiana Sommelier. Vediamo allora come regolarci nella scelta – apparentemente controcorrente – del vino giusto da sorseggiare con la nostra fumante margherita.
Esaminando la pietanza si può affermare che le sue caratteristiche sono:
- Tendenza dolce abbastanza percettibile (derivante da mozzarella, olio e impasto)
- Grassezza poco percettibile (derivante da mozzarella e strutto se presente)
- Succulenza abbastanza percettibile (derivante dall’acqua contenuta sia nella mozzarella che nel pomodoro)
- Untuosità poco percettibile (derivante da olio e grassi della mozzarella)
- Sapidità poco percettibile (in base al sale nell’impasto e quello aggiunto eventualmente prima di infornare o nel pomodoro)
- Tendenza acida abbastanza percettibile (insita nel pomodoro)
- Aromaticità abbastanza percettibile (dall’impiego di origano e/o basilico)
- Persistenza gustolfattiva abbastanza percettibile (dall’insieme dei vari componenti della pietanza dopo la deglutizione).
La pizza margherita risulta essere perciò una pietanza abbastanza strutturata a cui abbinare un vino di corpo affinché l’abbinamento possa definirsi armonico.
Viste le caratteristiche sopraelencate della pizza, cercheremo di abbinarle vini non complessi, quindi non invecchiati, ma giovani, magari dell’annata (siano essi rossi, rosati o bianchi), in modo che abbiano un’acidità presente ma non eccessiva: perché alla tendenza acida ci pensa già la presenza del pomodoro. E’ consigliabile inoltre che i vini abbinati siano appena morbidi (abbinamento in contrapposizione) per stemperare la suddetta tendenza acida appena percettibile della pizza (ovviamente stiamo ipotizzando che non vi sia troppo pomodoro, altrimenti la morbidezza del vino dovrà essere superiore).
Il vino ideale dovrà inoltre avere una sapidità non eccessiva ed essere moderatamente alcolico e moderatamente tannico – se si sceglie un rosso o un rosato – poiché la succulenza e l’untuosità della pizza margherita non sono rilevanti. Importante sarà invece scegliere un vino dall’intensità olfattiva e la persistenza aromatica intensa, per controbilanciare la persistenza gustolfattiva e l’aromaticità donata dalle erbe aromatiche impiegate nella pizza.
Senza dubbio sarà bene privilegiare l’abbinamento con i bianchi e rosati giovani (dell’annata), o rossi giovani poco tannici. Come tipologie possiamo suggerire tra i bianchi un vini giovani di colore bianco verdolino, di tenue profumo e gusto, da bere giovane cioè nell’anno successivo alla vendemmia (particolarmente degno di nota il vitigno Asprinio, ma anche il tipico Vinho Verde portoghese).
Passeremo invece alla preferenza di un bianco di medio invecchiamento (da bere all’inizio del secondo anno dalla vendemmia) se sulla pizza vi sarà molto pomodoro o un’aggiunta di elementi molto sapidi come per esempio alici o vongole (e qui si presta bene pensare ai prodotti del vitigno Sylvaner). SI consiglia di consumare questi bianchi con la pizza ad una temperatura di circa 10°C.
Se preferiamo i rosati, orientiamoci anche in tal caso verso vini giovani e profumati, da servire a temperature pari a 12-13°C (ottimi quelli ottenuti dai vitigni Negramaro, Malvasia nera, Montepulciano, Lagrein); e se infine amiamo i rossi, che sia sempre una tipologia giovane, ma soprattutto poco tannica, acida e alcolica. Un vino dunque morbido quanto basta, da servire senza superare i 15°C. In questo caso, segnaliamo l’ottimo abbinamento con i vini Negramaro, Malvasia, Sangiovese, Montepulciano e Syrah.
Fonte: Prodigus.it