Dalla forma di parallelepipedo quadrangolare, con una crosta di colore rosato (inconfondibile per la sfumatura salmone) e un odore molto caratteristico quanto invitante, il taleggio è un formaggio ormai famoso in tutto il mondo. Il suo nome ha origini recenti, ma come prodotto era già noto a Plinio il Vecchio, che nella sua Naturalis Historia lo riconosce come prodotto tipico della popolazione degli Orobi, abitanti delle valli bergamasche ma di origine celtica (provenivano dall’Europa del Nord, specialmente dalla Gallia e dalla Britannia).
Gli Orobi erano esperti di allevamento bovino e lavorazione del formaggio, tanto che le operazioni di rivoltamento del formaggio nei suoi stampi di legno a intervalli regolari, la salatura delle forme asciutte, l’uso di solo latte vaccino intero, erano tutte operazioni già note anche a Plinio. Documenti medievali confermano che il taleggio veniva prodotto nell’Alto Medioevo, epoca in cui si usava avvolgere le forme quadrate in stampi foderati con teli di lino; poi questi venivano poggiati su stuoini, e si attendeva che il formaggio si asciugasse per poi strofinarlo con sale e lascialo maturare per almeno 30 giorni.
Per un certo periodo il taleggio fu definito commercialmente “formaggio lombardo maturato in grotta” oppure “formaggio saporito di forma quadra” oppure ancora “stracchino quadrato di Milano”: si parlava di stracchino perché anche in tal caso le vacche tornavano stanche (stracch in lombardo) dall’alpeggio estivo, ma riuscivano lo stesso a fornire latte di grande qualità quando arrivavano in pianura o collina per passarvi l’inverno (all’inizio la produzione era tipica esclusivamente del periodo di alpeggio in montagna). Tuttavia, tutte quelle sopra elencate erano ovviamente dizioni scomode per i commerci, per cui alla fine si trovò valido il nome di taleggio.
Questo appellativo fu probabilmente adottato nel Rinascimento per indicare la Val Taleggio, perché i contadini di tale zona furono i primi a caricare le forme di questo formaggio sui muli per portarle a vendere in Valsassina: gli abitanti di questa valle passarono dal dire “sono arrivati quelli della val Taleggio” a dire semplicemente “è arrivato il Taleggio”.
Il Taleggio è sempre stato un prodotto di successo, tanto che vi sono documenti che ne attestato l’uso in eventi importanti, come l’incoronazione di papa Clemente VI nel 1344, al banchetto di nozze di Francesco Sforza (signore di Milano) con Bianca Maria Visconti nel 1441. Ufficialmente, il nome Taleggio compare per la prima volta intorno al 1812 nel dizionario di Alfredo Panzini, poi nel 1872 in un libro intitolato “Della fabbricazione dei formaggi”. Nel 1944 il nome viene fissato definitivamente in un decreto ministeriale relativo al grasso che dovevano contenere i diversi formaggi italiani.
La zona di produzione attuale, legalmente definita dal disciplinare di produzione di questa eccellenza casearia DOP (1996), è rappresentata dalle province lombarde di Bergamo, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Pavia; dalla provincia di Treviso (Veneto) e da quella di Novara (Piemonte). Il disciplinare di produzione prevede che anche il latte deve provenire da tali aree, così come in tali aree deve essere effettuata la stagionatura (è la regola per tutti i prodotti riconosciuti DOP dalla UE).
Il Taleggio è un ottimo formaggio da tavola, prodotto con latte intero di vacca e a stagionatura breve e media (minimo 35 – 40 giorni, ma si può aumentare anche se non di molto perché è un formaggio ricco di acqua rispetto ad altri simili), a pasta molle e crosta lavata. Durante la stagionatura, una volta a settimana si opera la spugnatura delle forme, che consiste nel lavarle con acqua e sale per evitare che crescano muffe strane, capaci di alterare non tanto il prodotto in sé ma la colorazione rosata della crosta.
Il sapore del taleggio è dolce e tendente al piccantino se più stagionato; lievissima la vena acidula, presente talvolta un retrogusto amarognolo tartufato. Il profumo è caratteristico: molto aromatico, in certi casi un po’ pungente (dovuto alla trasformazione dei lipidi e delle proteine ad opera di specifici batteri). Ogni forma di Taleggio pesa da 1,7 a 2,2 kg ed è un parallelepipedo quadrangolare, con lati di 18 – 20 cm e scalzo diritto alto 4 – 7 cm. La crosta è sottile, di consistenza morbida e di colore rosato naturale, con presenza di muffe caratteristiche di colore grigio – verde salvia chiaro. La pasta si presenta uniforme e compatta con un colore dal bianco al giallo paglierino, morbida sotto la crosta e più friabile al centro della forma; talvolta sono presenti piccolissime occhiature.
In gastronomia il taleggio oltre che ottimo se consumato semplice, è perfetto con le pere che hanno un’azione sgrassante: rinfrescano la bocca e compensano la sua grassezza. SI può degustarlo anche con una mostarda di frutta, che essendo acidula e dolce contrasta bene la cremosità del formaggio. Il taleggio non è molto indicato in abbinamento al miele, perché si avrebbe una sovrapposizione di consistenze cremose. Per apprezzare il gusto del Taleggio bisogna (ma questo vale per tutti i formaggi) gustarlo a temperatura ambiente. Andrebbe inoltre mangiato con la crosta, perché è la parte più saporita del taleggio: basta raschiarla leggermente per eliminare le muffette.
In cucina questo formaggio si rivela adatto a ricette diverse: dato che fonde facilmente, si amalgama bene con altri ingredienti e viene perciò usato per i ripieni, in paste, torte salate e sformati, sulla pizza anche per rifinire la gratinatura di alcune verdure. Il taleggio va conservato in frigorifero, purché avvolto nella sua carta o in qualcosa che lo faccia respirare (esclusa quindi la pellicola e l’alluminio): l’ideale sarebbe un telo umido per aiutare a mantenere la morbidezza della crosta. E’ uno dei pochi formaggi che, in casi estremi, può essere congelato senza perdere eccessivamente le sue proprietà, senza però oltrepassare i sei mesi.
Il taleggio, come tutti i formaggi, si sposa benissimo con il vino. Affinché i due prodotti si esaltino reciprocamente è necessario che le caratteristiche si integrino bene. Questo formaggio è grasso al palato, con una tendenza dolce, aromatico con retrogusto appena amarognolo. Se non troppo stagionato, si accompagna bene con vini giovani, volendo frizzanti, purché fruttati, con buona acidità e non troppo alcolici (11,5 – 12°).
Fonte: prodigus.it