Credo che il solo pensiero di sapere che sulla tavola del giorno troveremo un piatto di ottima pasta all’amatriciana o alla carbonara, sia capace di rendere migliori le ore mancanti al pasto, facendoci affrontare meglio ciò che ci aspetta sul lavoro o in altri impegni della vita. L’aspettativa e il piacere di degustate pietanze del genere non può che rendere l’animo più leggero e l’atteggiamento verso gli altri più disponibile! Insomma, credo che le pietanze citate siano tra quelle che dimostrano uno stretto legame tra cibo e umore, palato e psiche, fare bene sia alla nostra gola che al nostro stato d’animo. E non solo nel Lazio.
Ma pensiamoci un po’: perché accade questo, quale segreto in queste due pietanze? Vi è una sola risposta: la presenza, come ingrediente storicamente comune, del guanciale di maiale, una vera chicca per chi se ne intende. Certo, sono tanti coloro che non riuscendo a reperirlo facilmente, o per semplice abitudine, preparano questi piatti con la pancetta, sia essa dolce o affumicata a seconda della propria preferenza. Ma è bene sapere che nella cucina romana l’uso di quest’ultima per fare l’amatriciana o la carbonara… è un vero e proprio tradimento!
Per parlare di questo eccezionale prodotto di salumeria artigianale, iniziamo ricordando il significato del termine “salume”. Con esso si indica un prodotto alimentare fatto con carne cruda o cotta, quasi sempre sottoposte a salagione (l’etimologia di salume deriva appunto da “sale”), oltre ad essere conciati con spezie varie e grasso animale. Il salume può essere insaccato (salami vari, salsicce stagionate, soppressate, ecc.) se posto all’interno di contenitori (provenienti dall’intestino animale o fatti con altri materiali, purché traspiranti in quanto il salume deve “respirare” per non rischiare deterioramenti che lo renderebbero non mangiabile e pericoloso per la salute). Alcuni salumi non vengono insaccati, come il prosciutto crudo, quello cotto, il culatello e altri. Oltre che con il sale e le spezie, un salume può essere conservato in alcune tipologie anche grazie all’affumicatura e la cottura.
Tornando al nostro amato guanciale,ricordiamo che piace anche fuori dall’Italia: per i francesi è joue de porc, per gli inglesi pig cheek / pork cheek, per gli spagnoli mejilla de cerdo, per i portoghesi bochecha de porco, per i tedeschi schweinebacke. Per la produzione del guanciale si utilizzano suini allevati in Italia, preferibilmente di razze italiane autoctone delle diverse zone di produzione, i quali abbiano età di almeno nove mesi. Talvolta si tratta di allevamenti suinicoli classici e certificati per quanto riguarda il rispetto delle norme veterinarie e sanitarie in genere, oltre quelle relative all’igiene e benessere degli animali. Nelle porcilaie di questi allevamenti gli animali sono suddivisi per età, sesso e peso, e vengono alimentati sia con mangimi preconfezionati che prodotti in azienda (mais in particolare), oltre che con sottoprodotti di caseificio, come il latticello. Altre volte si tratta di suini allevati liberi allo stato brado, nei boschi, dove si alimentano di ghiande e frutta (come le mele), oltre a mangimi industriali e aziendali, messi in mangiatoie e distribuite nel bosco insieme a recipienti con acqua. Questi animali si muovono molto e fanno “ginnastica funzionale”: per questo le loro carni si presentano più sode e saporite.
Inoltre, ricordiamo che differenti sono le parti del maiale da cui provengono guanciale, pancetta e lardo.
Il lardo proviene dal grasso della parte dorsale dell’animale, la pancetta dalla parte ventrale, il guanciale dalla guancia del maiale e parte della gola. Il guanciale ha classicamente forma triangolare proprio per il taglio obbligato che si deve effettuare per ricavare il pezzo e, di norma, ha una maggiore compattezza e consistenza rispetto a pancetta e lardo, oltre che un sapore diverso, sia per la diversità degli acidi grassi che compongono il grasso di quella parte anatomica, sia per le fasi produttive che lo arricchiscono di particolare sapore e profumo.
Cominciamo allora dalla partenza del ciclo produttivo, cioè il taglio, effettuato ovviamente a mano da maestri macellati armati di affilatissimi e precisissimi coltelli, i quali asportano le guance (in alcuni posti il guanciale si chiama anche gota, cioè guancia) e parte della gola all’animale macellato ed eviscerato (proprio per la presenza di parte della gola, il guanciale è chiamato anche goletta). Segue la fase detta di sezionamento e profilatura o rifilatura, molto accurata in quanto è necessario non rovinare esteticamente il pezzo, né asportare troppo tessuto, per giungere alla tipica forma triangolare del guanciale; ancora una volta l’operazione è artigianale e affidata a personale molto ben addestrato.
Si passa poi alla salagione (o salatura), operazione fatta a mano e a secco, con sale al quale sia stato unito un mix di spezie (vero segreto di ciascun produttore, sia per il tipo di aromatizzanti che per la loro dose d’impiego). Questa fase dura anche fino a 5 giorni, durante i quali il pezzo viene massaggiato a mano più volte al giorno, sempre con molta cura e delicatezza. Diventa poi necessario il lavaggio del pezzo di carne conciato, al fine di eliminare il sale e le spezie in eccesso dalla superficie (sia il primo che le seconde sono penetrate già nei primi strati di grasso e fibra muscolare). A questo punto si passa alla vera e propria speziatura, con un successivo mix di spezie, fase in cui alcuni usano anche pepe e peperoncino. Sia le spezie che il pepe e il peperoncino sono utili non solo per il sapore e il profumo del prodotto finito, ma anche per evitare lo sviluppo di batteri e muffe o altri funghi sul e nel guanciale, oltre che per evitare l’irrancidimento precoce del grasso.
Nel mix di spezie utilizzato per aromatizzare il guanciale sono comuni aglio, rosmarino, salvia, erba cipollina, timo; c‘è da dire però che in alcune aree di produzione si usa solo sale, al fine, credo, di far prevalere la vera prelibatezza del sapore del grasso senza interazioni con altri odori e gusti. E‘ una sorta di produzione in purezza gustativa e olfattiva, come chi mangiando del pesce non usa sale e/o altri condimenti come il succo di limone, proprio per percepire al meglio il sapore del mare, del lago o del fiume.
Giunge dunque il momento dell’asciugatura: per 3-4 giorni i pezzi di guanciale saranno posti in ambiente con temperatura e umidità costanti, come le cantine o le grotte (oppure appositi locali aziendali con ventole e termostati), in modo da far perdere al guanciale un po‘ di umidità, per scongiurare ancora lo sviluppo di microrganismi nocivi e anche per concentrare le sostanze del sapore e del profumo. Seguirà la stagionatura per almeno 45-60 giorni, per far avvenire nel guanciale tutte le reazioni biochimiche naturali di trasformazione sia dei grassi che delle altre componenti e migliorare il prodotto finale, come sapore e profumo.
Alcuni produttori procedono anche all’affumicatura. L’operazione è caratteristica ad esempio del guanciale abruzzese e di quello di Amatrice (prodotto anche ad Accumoli): in speciali camini viene fatta bruciare legna di lauro, o quercia o faggio o ginepro, tutte in grado di dare particolare profumo e sapore al guanciale e di conservarlo ancora meglio – perché non si dimentichi che l’affumicatura più che per fini organolettici nasce per meglio conservare un alimento. Per 3-4 giorni i guanciali sono esposti al fumo di questa legna per tutto il giorno. Una volta acquistato, il guanciale garantisce la sua squisitezza al massimo per un mese, sempre se conservato in luogo fresco e asciutto (cantina o frigo): il consiglio è comunque quello di gustarlo rapidamente, al fine di evitare l’irrancidimento delle consistenti parti grasse e il conseguente cambio nel sapore (che si denota dal passaggio del colore del grasso stesso dal bianco al giallognolo).
In cucina il guanciale è tipico dei primi piatti, dall’amatriciana e alla carbonara, speciale anche per esaltare il gusto delle paste con verdure (dagli asparagi verdi classici o selvatici, ai carciofi e ai funghi). Sarà delizioso anche in abbinamento alla zucca. Il guanciale non disdegna tuttavia di essere affettato sottile per essere degustato tal quale, o ad esempio finire su pizze e bruschette per diventare croccante in forno.
Il vino si presenta come bevanda migliore per accompagnare la degustazione del guanciale. Sarà necessario tenere conto della caratteristiche del piatto, ma se usiamo il nostro guanciale in purezza a fettine o dadini o in pietanze poco strutturate in cui il salume prevale con le sue caratteristiche di grassezza e tendenza finale dolce, aromaticità e sapidità, si presterà un vino che sgrassi la bocca: ci orienteremo verso vini secchi, giovani, freschi (cioè aciduli), poco alcolici (11-12° alcolici), preferibilmente bianchi (sia fermi che vivaci, da servire alla temperatura di 8-10°C), e volendo anche rossi (da servire a 14-16°C) o rosati (da servire a 10-12°C) ma pur sempre giovani e freschi, fermi o vivaci. Sarà sempre valido l’abbinamento di uno spumante bianco, secco e aromatico (da servire a 6-8°C).
Sempre attenti però alle calorie del guanciale: sono ben 675 kcal per 100 grammi!
(acqua 22%, grassi 70%, proteine 7% + sali minerali)
Concludiamo ricordando che il guanciale ha ricevuto in molte regioni la denominazione PAT (prodotto agroalimentare tradizionale): in Abruzzo (guanciale di Campostosto), Calabria, Lazio (quello dei monti Lepini e quello amatriciano) come anche in Molise, Sardegna, Toscana, Umbria e Friuli.
Fonte: prodigus.it