Forse non se n’è nemmeno reso conto, o forse ha voluto chiamarlo in causa senza nominarlo ma, quando nella conferenza di ieri ha parlato della difficoltà con cui “qua” si accettano le sconfitte, Paulo Fonseca ha tirato fuori anche lui l’argomento del famigerato “ambiente”, autentico convitato di pietra di ogni crisi romanista.
Ve le immaginate dichiarazioni simili, cioè sulla difficoltà di accettare la sconfitta, che effetto avrebbero avuto a Torino, sponda Juventus, o a Milano su entrambi i versanti calcistici?
Ma abbiamo già ricamato troppo, perché poi sono arrivati i contenuti della serata calcistica nel paesaggio lunare dell’Olimpico ammantato dai simboli della tradizione giallorossa.
Del Parma si sapeva una cosa, alla vigilia: non andavano prese in considerazione tanto le tre sconfitte di fila quanto il gioco piacevole, a tratti brillante, che gli uomini di D’Aversa avevano sempre espresso. In più, il tridente d’attacco parmense, con la conferma di Gervinho accanto a Cornelius e Kulusevsky, è uno dei più efficaci nell’aggredire gli spazi, soprattutto quando l’avversario si mostra titubante nella gestione della palla all’interno della propria metà campo.
L’episodio del rigore, prodottosi da un’azione con la quale Cornelius era entrato in area come un coltello nel burro, colpisce a freddo la Roma che, al bivio tra frustrazione e rabbia, sceglie almeno in parte di affidarsi a quest’ultima. La reazione c’è. Quanto efficace? Beh, forse la cosa più bella del primo tempo è stata il cross di Spinazzola con i giri contati, dal settore sinistro, per la testa di Bruno Peres. Ci vuole altro, ben altro. Come il fendente con cui Mkhitaryan pareggia quasi allo scadere del tempo. Guarda caso, una giocata singola di uno dei calciatori più forti ed esperti.
Sensazioni di metà gara: il Parma può far male, ma al tempo stesso farsi male.
La contesa riprende con i ducali più conservativi – Kurtic in luogo di Cornelius – e con la Roma che mostra la tendenza, inusuale, a calciare da fuori con maggior frequenza: spia del fatto che la squadra sembra aver capito che il risultato deve passare per l’assunzione di responsabilità dei giocatori più dotati balisticamente. Così arriva la conclusione secca e precisa di Jordan Veretout che fa due a uno.
Per il finale Fonseca sceglie la via del ricamo, se non proprio della seta, quando inserisce Villar e Carles Perez in luogo di Pellegrini e Diawara. Il Parma implode sulle sue insicurezze; i giallorossi meriterebbero un vantaggio più rotondo, se Sepe non ci mettesse entrambi i guanti, su una botta ravvicinata di Villar.
È il momento in cui il Parma evidenzia una crescente disunità, implodendo sulle sue insicurezze e su una classifica che deve farsi guardinga, se non altro.
Finisce con la Roma che spreca lo sprecabile, ma che porta a casa una partita che riavvicina Fonseca alla sua panchina. Per lo spartito del gioco c’è da attendere, si è visto anche stasera, però la serata va in archivio con un dato nuovo: l’assunzione di responsabilità da parte di quei giocatori che possono caratterizzare le partite. Non è tutto, ma non è poco.
Paolo Marcacci
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