Smart working: soluzione estrema o risorsa? Naturalmente la risposta viene politicizzata, come d’altronde accade per qualunque materia al momento.
Chi in particolare sugli statali che lavorano da casa abusa di qualunquismo, sarebbe Matteo Salvini.
Per lo meno è quanto sostenuto dall’Assessore al personale del Comune di Roma Antonio De Santis.
Hanno fatto discutere le parole del segretario leghista al Senato: «Lasciare in smart working fino a dicembre i lavoratori del pubblico impiego mi sembra irrispettoso verso gli altri lavoratori, quelli del privato e gli autonomi. Molti da casa lavorano, altri da casa lavorano un po’ meno».
Dura la replica di De Santis a Salvini prima sui social, poi ai microfoni di ‘Lavori in Corso’.
Ecco quanto sostenuto nell’intervista di Stefano Molinari e Luigia Luciani.
“Salvini dimentica che lo smart working, e quindi i Dpcm del Governo che lo hanno introdotto rispondevano ad un’esigenza molto specifica: limitare i contagi in epoca di Covid. Non mi pare che ci si sia messi alle spalle completamente questo problema purtroppo.
Io non difendo a spada tratta lo smart working, penso che sia una risorsa flessibile che può essere adattata, quindi non è detto che tutti debbano stare a casa.
Ritengo che la politica debba prendersi delle responsabilità: annichilire tutto e additare il dipendente pubblico che sta a casa a fronte delle partite Iva non la ritengo un’operazione corretta.
Sfido chiunque, anche Salvini, a dire che a marzo avrei dovuto mandare dieci persone insieme in una stanza. Lo dica, perché se lo sostiene allora torniamo indietro di qualche mese e andiamo a vedere di chi sono le responsabilità di determinate cose in Lombardia.
Progressivamente questa misura è stata allentata. Oggi Roma Capitale non ha affatto il totale dei dipendenti in smart working. Il pubblico ha addirittura meno persone in smart working rispetto al privato al momento.
Ciò sottolinea come l’espressione di Salvini di addebitare al pubblico questa responsabilità è totalmente priva di fondamento e risponde esclusivamente ad un’esigenza comunicativa di campagna elettorale“.
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