Coloro che ci governano veramente – non politici, ma uomini di finanza – negano il male, limitandosi ad ammettere che possano succedere le crisi, che spiegano con la logica del “cigno nero”, dell’evento imprevedibile.
Ne “Il male e la libertà” San Tommaso d’Aquino annota all’articolo 1 della Quaestio Prima de malo se il male sia qualcosa: “Sembra di sì, infatti tutto ciò che è stato creato è qualcosa.
Ma il male è qualcosa di creato secondo quel passo di Isaia (45, 6-7): ‘Io sono il Signore che fa la pace e crea il male’, dunque il male è qualcosa“.
A distanza di così tanti secoli il continuo lavaggio del cervello in economia è funzionale a farci rivivere quotidianamente gli stessi pensieri, in modo che il vizio diventi la nostra condizione naturale, e non sia consentito invece il pensiero laterale.
Fanno credere al popolo oppresso che il sistema economico che lo opprime sia l’unico possibile.
Chi parla di luce non è gradito in un contesto in cui il popolo deve essere tenuto all’ombra della caverna di Platone, e in cui lo schiavo liberato deve essere sacrificato.
Di tutto il pensiero matematico e scientifico che ha consentito all’economia di evolvere, rimane dunque ben poco, se essa è priva della filosofia e del pensiero morale.
Si pensi alla tradizionale tripartizione classica delle fonti economiche: mezzi capitale e lavoro.
Oggi due di esse sono diventate pleonastiche. Si pensa solo all’accumulazione del capitale nell’economia capitalistica.
Se si tornasse indietro a una visione filosofica dell’economia, si dovrebbe discutere di economia della conoscenza. Ci si dovrebbe allora chiedere quanti mezzi, capitale e lavoro siano incorporati in tale valore, nella conoscenza.
Quanto lavoro è necessario per produrre conoscenza?
Nella mia visione di Economia Umanistica, non può esserci spazio per il lavoro e per la ricerca dell’uomo all’interno di un’economia capitalistica.
Ecco perché ne dobbiamo uscire.
Malvezzi Quotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi
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