Un “modus operandi criminale” diventato “modalità ordinaria di gestione, quanto meno, di parte della quotidianità lavorativa“. Con un’unica esigenza: aumentare la produttività, intesa come numero di arresti. Un “atteggiamento criminale” nelle parole dei pm Matteo Centini e Antonio Colonna, che per anni avrebbe caratterizzato la caserma Levante di via Caccialupo a Piacenza. Un luogo dello Stato profanato dalla squadra dell’appuntato Peppe Montella che faceva sparire parte della droga sequestrata per rivenderla con una rete di pusher, teneva i soldi dello spaccio nascosti nella cassaforte comune e, addirittura, organizzava festini hard. Secondo gli inquirenti sono avvenuti anche ripetuti abusi e pestaggi di pusher. La caserma Levante rimane sotto sequestro.
Daniele Mancini, avvocato dell’appuntato Giacomo Falanga, coinvolto nella vicenda e finito in carcere, è intervenuto a Lavori in Corso per esprimere la posizione del suo assistito, coinvolto nella notizia scioccante che si è rivelata a Piacenza.
“Di fronte alla complessità del materiale, delle immagini, parlare facendo di tutta l’erba un fascio significa non andare a scoprire la verità. Già da quello che abbiamo visto ed esaminato, le cose sono molto diverse rispetto all’immagine granitica e unitaria che poi sta emergendo anche sulla stampa.
C’è un fatto: che in una struttura gerarchica sia difficile prendere posizione. C’è chi esegue l’ordine o lo mette in discussione. Da fuori sembrano cose estremamente sbagliate…
Io non vorrei paragonare questo caso al caso Cucchi, riferite al mio assistito ci sono situazioni molto diverse. Ovviamente anche qui però si vede che nelle strutture gerarchiche e militari è difficile prendere posizioni.
Con Falanga abbiamo avuto solo un piccolo colloquio perché è molto provato ed è difficile razionalizzare in questo stato…
L’ho trovato provato ma dico la verità, anche sorpreso. Lui non ha quel ruolo che viene messo in evidenza per altri soggetti del gruppo (Montella). Da quello che noi sappiamo: nessun caso di tortura, spaccio ecc per il mio assistito.
L’obbiettivo è capire nella struttura come operavano, e cosa lui ha fatto, cosa sa, cosa non ha fatto e cosa non sa.
Per me non è difficile difendere un imputato, ovviamente la stampa condiziona l’opinione pubblica e la difficoltà sta nel separare dal fatto processuale le cose che da fuori emergono”.
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