Sonorità folk e sguardo timido di chi ama follemente quello che fa: Massimo Giangrande, che alla chitarra solista preferisce sempre la band, ricorda un po’ Jeff Buckley e Nick Drake. E’ uscito il suo terzo disco e l’ispirazione viene tutta da una sola piccola creatura: suo figlio…
E’ possibile essere d’altri tempi e moderni contemporaneamente? Sì, Massimo Giangrande è riuscito a farlo. Con il suo terzo album Beauty at Closing Time ha unito il gusto per il minimale alle sonorità folk, tirando fuori 11 brani che in una vecchia foto alla california dreamin’ li vedremmo benissimo.
Il filo conduttore? La paternità…
“Dopo il secondo album non avevo voglia di uscire di nuovo con qualcosa di mio, è nato mio figlio e mi sono dedicato totalmente a lui. Poi mentre a casa scrivevo e suonavo per lui, così per calmarlo, è venuto fuori qualcosa. Scrivere era difficilissimo per cui avevo appunti ovunque: su pezzi di carta, pacchetti di sigarette, messaggi vocali…”
Il filo conduttore di Beauty at closing time è proprio l’insieme di emozioni che essere padre, nel bene e nel male, ha stimolato. Childhood’s End per esempio è la storia di un padre artista che per seguire il suo sogno è costretto ad allontanarsi dalla famiglia, perdendo così i momenti più belli di un’infanzia che non riavrà mai. Un sacrificio che però avrà un lascito: insegnare al piccolo che a volte inseguire i propri sogni costa caro, ma è necessario. Perché farlo è veramente importante.
11 brani tutti in lingua inglese, un album il cui titolo non è contenuto in nessuna traccia, un video clip in stop-motion tutto da vedere e 5 date tra Roma e Bruxelle per sentirlo dal vivo: Massimo Giangrande con il suo Beauty at closing time ci porta in viaggio attraverso le bellezze dell’essere padre. Dall’interazione tra anime, come la chiama lui, è venuto fuori un album unico che di sicuro non vi deluderà.